Marò India: la storia di mio padre nell'ombra

Storie e Notizie N. 1174 

In questi giorni è tornata sulle prime pagine la vicenda dei Marò.
Leggo le notizie, mi soffermo sui fatti, tuttavia ho la netta impressione che, a prescindere dai giudizi più o meno sommari, manchi una parte del racconto a dir poco fondamentale.
Forse volutamente accantonata.
Frammento della Storia con la esse maiuscola, storia con l’iniziale minuscola.
Nascosta nell’ombra, invece di essere ricordata ad ogni occasione…

Mio padre si chiamava Valentine Jelestine.

Era un pescatore.
Era il pescatore.
Perché così funziona, si sa.
Tutto quel che è la persona speciale è tutto.
Il pescatore, già.
E l’uomo di casa.
Che io sarò.
Quello che si fa la barba.
E quello che avrebbe dovuto insegnarmi a farlo.
Che avrebbe potuto insegnarmi tutto.
Tutto.
Difficile sostituire tutto con il nulla, anche con la magia.
Soprattutto per chi sa, in maniera innata, che la magia è sempre nelle intenzioni.
In breve, un bambino.
Mio padre si chiamava Valentine Jelestine.
Ed era il bambino che è stato.
Che, per questo, avrebbe saputo dirmi le parole giuste.
Era il compagno di mamma.
Ed era anche il mio.
Come io il suo.
Come farà, ora, senza di me?
Come farò?
Come farà, lei?
Si andrà avanti, lo so.
Così camminiamo, noi altri, nell’ombra.
Senza sapere come.
Mio padre si chiamava Valentine Jelestine.
Perdonate, ma ho bisogno di ripeterlo.
Per non cancellarlo anch’io.
Era un pescatore.
Era il pescatore.
Ma era anche un’infinità di piccole cose che nessuno vedrà mai.
L’uomo che era lì, quel mattino di un giorno come tanti.
E gli occhi che mi hanno guardato, quella sera, di un altrettanto comune dì.
Le labbra che hanno sorriso, in strada, in mezzo alla folla.
E la voce che ho sentito così tante volte.
Che all’improvviso sono diventate tristemente poche.
Mio padre si chiamava Valentine Jelestine.
Era un pescatore.
Era il pescatore.
Ed è stato ucciso.

Fate luce, vi prego.
Che abbiamo bisogno di luce, quaggiù.

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