Storie sull’ambiente: sognando tra Usa e Corea

Storie e Notizie N. 1480

Eccolo, il regno tra i due paradossali, e al contempo più che reali, estremi di questo illogico mondo, che altrettanto irrazionalmente è ancora in piedi, malgrado tutto.
Un leader che con le sue politiche insensate isola sempre più se stesso, il suo paese, e l’intera umanità dal resto dell’universo, e un altro che fa lo stesso nel pavoneggiarsi con i missili per suscitar collera e timori nel primo.
Eccolo, nel mezzo, il sogno
.

Un pianeta.
Vorrei solo un pianeta, di misure semplici, di forma geometrica, ma non perfetta, sai?
Che ricordi qualcosa di studiato a scuola, figura piana vista dall’alto e solida qualora percorsa con passo veloce e curioso.
Un pianeta, già, abitato da persone dotate di cuore e pancia, volubili e impulsive quanto vuoi, ma nel momento del bisogno capaci di fare il salvifico passo indietro.


Perché la ragione annoia, è vero, ma è l’occhio lucido che scorge la buca sulla via.
E, al peggio, quello che rammenta la caduta che fu.
E’ così che al peggio detto ieri, diviene al meglio, scritto domani.
Un pianeta con risorse finite, mica il paradiso, chiaro?
Niente di incredibile, roba normale, sintetizzabile con facilità anche dall’immaginazione di un infante.
Come una scatola di cioccolatini che può terminare, che deve farlo, che lo farà.
Esperienza comune quanto immensamente preziosa, la compiutezza dei doni, e non solo per il vantaggio di apprezzarli a dovere.
Ti fa capire anche che il vero regalo non è quest’ultimo, ma la capacità di riconoscerlo come tale, nei colori come nell’aroma, per poi cercarne e scovarne altri, anche di più belli.
Altrimenti, perché fissare il cielo con tale intensità?
Altrimenti, perché insistere nel saltare, ancora e un altro balzo, con la testarda speranza di distrarre una volta per tutte madama gravità?
Altrimenti, infine, perché la luna e tutti gli astri?
Un pianeta, si diceva, qualcosa di immaginabile, quindi disegnabile.
Come il frutto di un’idea suggestiva.
Di un sogno, proprio così, questo.
Di un pianeta e di viventi scossi di continuo dal ritmo del cuore e dalle vibrazioni del respiro, ma laddove la scatola suddetta si esaurisca, capaci di metter da parte le personali ottusità.
Roba elementare, sia ben chiaro, niente di eccezionale.
Non è il mito che si fa carne, ciò che desidero, anche se male non farebbe, è ovvio.
Un capitano, solo un capitano, mio, anzi, nostro.
Che a differenza dell’attimo che fugge è egli stesso, per primo, a salire sul banco a esclamare con voce calma, ma tonante: “La nave sta affondando, basta con le vane chiacchiere. Orsù, ciurma, tamponiamo le falle e scandagliamo l’orizzonte, in cerca della terraferma.”
Invece di accanirci nel respingere in mare chi è già partito per coraggio e disperazione.
Eccolo, il pianeta, di parole e nebbia, laggiù, nel futuro possibile.
Dove solo parole, nebbia e qualche sogno.
Arriveranno sani e salvi.


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