Storie sullo sfruttamento minorile: il resto di noi

Storie e Notizie N. 945

Il 12 giugno viene celebrato il World Day Against Child Labour. Secondo le ultime notizie, si contano nel mondo oggi 150 milioni di bambini vittime di diversi tipi di sfruttamento, 260 mila solo in Italia…

Alcuni di noi giocano.

E sognano, con gli occhi chiusi o meno.
Sono coloro che nascono nella terra della normalità, che rimane tale solo per chi ci vive, purché non naufraghi nell’oceano chiamato realtà.
Il resto di noi immagina le fortunate esistenze che esistono rigorosamente al di là della parete, nella casa della finestra di fronte, in quella lontana città di cui parla la tv, su, in cima, all’ultimo piano del grattacielo nel mezzo dell’isola che c’è.
C’è, ma non per tutti.
Solo per chi ci nasce, e neanche tutti tra loro, poiché s’inventano perfino leggi per rendere il futuro ancora più a rischio di quello che è già.
Cosa normale, per il resto di noi.
Noi che facciamo tutto tranne quello che ci spetta.
Siamo il bambino che cuce.
Il ragazzino che lava e stira.
Il bimbo piegato in terra che raccoglie.
Quello che mette in ordine.
E quello che viene punito, se non fa le cose come si deve.
Magari fossero lezioni per crescere ed evolversi.
Per migliorare.
Il resto di noi impara una sola cosa, il primo giorno che entra in questa sorta di incubo ed è orribile solo a pensarla.
Il credere che la vita sia tutta qui e che il resto sia solo un miraggio.
Quello che vivono alcuni di noi.
Se veramente esistono anche loro.
Nello stesso tempo, in questo paradossale imbroglio detto società moderna, ci sono i grandi.
I cosiddetti adulti.
Alcuni di loro lavorano.
Sognano anche loro, di notte e di giorno.
Sono coloro che fanno del proprio meglio ovunque, nella terra della normalità e soprattutto nel mondo esiliato da quest’ultima.
Perché hanno la convinzione o la follia, dipende dai punti di vista, che quel miraggio, ovvero la felicità all’orizzonte, dovrebbe essere raggiungibile per tutti.
Senza distinzioni alcune.
Il resto di loro, dei grandi cosiddetti adulti, non lavorano.
Sostengono di farlo.
In realtà giocano.
Sì, giocano a fare i politici, gli scienziati, gli ingegneri, gli avvocati, i soldati.
Ma quelli più assurdi sono quelli che chiamano lavoro quello che è davvero un gioco, vedi i calciatori.
Prendetevi un attimo, ora, fate una pausa.
Dal lavoro o gioco che sia, o comunque voi lo chiamate.
E figuratevi di rimettere per un istante tutte le caselle al loro posto.
Immaginate un mondo dove tutti noi, alcuni e tutto il resto, vivessimo per giocare, giocare finché il tempo lo richieda.
Una società, non più imbroglio, dove i grandi, non più cosiddetti adulti, vivessero il proprio lavoro anche giocando, ma senza dimenticare che gioco non è.
Pensate a quanto sarebbe meraviglioso, alla fine della giornata, raccontarci cosa abbiamo entrambi imparato.
E in quel momento si potrebbe pure giocare assieme…


  



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