Storie di immigrazione: Ius Soli e Ius Celi

Storie e Notizie N. 1483

Per quanto riguarda gli immigrati, e in particolare lo Ius Soli, proseguo sulla mia abituale via alla ricerca della storia perfetta per rendere al meglio l’idea di ciò che sta accadendo nel nostro paese e non solo…

C’erano una volta loro.
Le ronde del mondo, ovvero del cielo.
Con il collo perennemente angustiato da uno sguardo e un cuore costretti a veder migranti invasori sfrecciare da ogni punto cardinale.


Indomite e ostinate creature, decise a denunciare l’immonda occupazione della personale visione della Storia e delle cose.
“Maledetti cigni”, urlavano con la gola infiammata dal livore, “tornatevene al vostro nido.”
“Sporche anatre”, berciavano altre, “voi non siete come noi.”
“Eh certo”, replicava una voce accanto, “sono anatre…”
“Amico, remi contro o cosa?”
“Cosa?”
Che volete farci, erano un po’ così, i dialoghi tra uno schiamazzo e l’altro, semplici e confusi come le bugie più stupide.
Rondini incivili”, strillarono in molte per riportare la comune attenzione sul bersaglio, l’unico possibile, “non prenderete il nostro posto.”
Fenicotteri infedeli”, gridavano altre ancora, “non ci convertirete al vostro Dio.”
“E il nostro quale sarebbe?” chiese un’altra voce fuori dal coro.
“Di sicuro non assomiglia a un fenicottero”, rispose quella accanto.
Tipico scambio tra le pieghe di una folla affezionata al clamore costante, dove non hai idea quali siano più improbabili tra le domande e le risposte.
Quaglie intruse”, sbraitavano ancora più rumorosamente in tante, per non perdere il ritmo, “siete qui solo per rubare e oziare.”
“Non vi permetteremo di spazzarci via”, strepitavano altre di seguito, “figli di oche.”
“Avevamo detto di non insultare, però”, dissentì qualcuna.
“Ma non è un insulto, volevamo dire proprio oche…”
“Appunto.”
“No, dico che intendevamo letteralmente…”
“Che?”
Altro aspetto riconoscibile nel branco dal facile digrigno, ovvero i fraintendimenti ottusi senza luce all’orizzonte.
Cormorani, volate da quegli altri”, vociavano alcune tirando fuori il vecchio refrain, “vogliamo vedere poi come vi trattano…”
“Il cielo a noi”, sintetizzavano altre ancora, “e agli usignoli il… lo… ehm, la Usignolia?”
In altre parole, l’immancabile, segno di distinzione degli ammassi di insoddisfazione decerebrata, leggi pure come la totale assenza di fondamenta nel delirante muro di confine stretto intorno al capo.
Troppo stretto, il più delle volte.
C’erano una volta loro, quindi.
I baluardi del niente.
Con il becco ossessivamente puntato contro l’inalienabile diritto alla sopravvivenza e al movimento.
Di vite che migrano sopra di esse.
Che mai voleranno.
Povere galline






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