Storie sull’ambiente: il racconto del rospo dorato

Storie e Notizie N. 1492

C’era una volta la storia del rospo dorato.
Ovvero, la sua conclusione.
Più che mai attuale di questi accaldati tempi, dove un iceberg gigante, vasto due volte il Lussemburgo, si è di recente spezzato nella Penisola Antartica, innanzi ai salati conti, ormai inevitabili, del cambiamento climatico che dovremo pagare nei prossimi decenni, e la contestuale necessità di raccontare anche esempi positivi, al netto di un’apatica, generale arrendevolezza, ormai divenuta cronica.
Facciamo ora un balzo nel passato, scorrendo le pagine all’inverso e torniamo all’inizio del racconto.
Siamo nel 1967 e l’erpetologo Jay Mathers Savage, studioso e ricercatore di rettili e anfibi, si trova nella Costa Rica centrale, con precisione la cordillera di Tilarán, nel pieno della sua spedizione.
“La vedete anche voi, quella?” fa Savage, il cui nome vuol dire selvaggio, quindi tutt’altro che intimorito dalla brutalità della natura più incontaminata.
“Capo”, esclama un compagno , “una pepita! Abbiamo trovato l’oro, siamo ricchi, abbiamo trovato l’oro…”
“Ma si muove”, strilla un altro, “la pepita si muove!”
“E salta pure…” sottolinea il primo.
“Avete quasi ragione su tutto, amici”, osserva Jay avvicinandosi alla scintillante scoperta con sguardo altrettanto illuminato. “Abbiamo trovato davvero l’oro, e si muove sul serio. Salta e balla, corre e vibra di vita. E grazie al cielo, non diventeremo ricchi per questo…”
Fu questo il suo primo incontro con il meraviglioso rospo dorato.


Da questo punto in poi, la solita narrazione di stampo prettamente colonialista barra occidentale, con l’esploratore pallido quale interprete principale, si colora di sensata realtà e il protagonista del racconto diviene lei, la pepita vivente.
Com’era strano, ai suoi grandi occhi, l’umano col cappello e la macchina fotografica della fine degli anni sessanta.
Al meglio, curioso, al peggio, goffo e invadente.
Chi avrebbe potuto prevedere il resto?
Nessun animale, sapientemente fedele al sottovalutato istinto, avrebbe potuto immaginare quanto fosse letale il presuntuoso bipede in giacca e cravatta, colui che mai avrebbe messo piede da quelle parti, da cui la sua incalcolabile pericolosità.
Perché in questo confidava l’aureo amico.
“Una volta che mi vedranno”, pensava, “e mi osserveranno con la genuina sorpresa di quel primo, tutti gli umani saranno nostri amici.”
Col tempo, come era già accaduto a molti prima di lui, il rospo dorato comprese quale fosse il dono di morte che quest’ultimi stavano stoltamente incartando per tutti.
Così, con l’acqua che diventava ogni giorno più calda e le piogge sempre più rare, iniziò a provarle tutte.
Si iscrisse subito a ogni associazione ambientalista ed ecosostenibile.
“Da oggi siamo verdi”, esclamò tornato nella tana.
“Poveri noi, il babbo è diventato daltonico”, fu il commento della moglie.
“No, mamma”, dissentì il figlio maggiore, “si è finalmente convinto che il dorato non mimetizza affatto, bravo papà!”
“Ti sbagli”, intervenne la figlia mezzana, “mimetizzerà pure, ma non si abbina con gli occhi marroni…”
“Niente di tutto questo”, disse la sua il più piccolo, peraltro prendendoci, “ci ha appena informato che siamo diventati vegetariani…”
Negli anni i nostri abbandonarono ogni comportamento che in qualche modo fosse irrispettoso della natura, rinunciando alle vie più facili, e per questo superficiali e nocive, per tragitti virtuosi e attenti al benessere del pianeta.
Più e più volte il rospo dorato si trovò in contrasto con i suoi familiari.
“Tanto è inutile”, protestavano un po’ tutti. “A cosa serve se lo facciamo solo noi? Tanto gli altri rospi continuano a infischiarsene, negando addirittura che il clima stia rovinosamente mutando.”
“Se tutti ragionano così, le cose non cambieranno mai”, replicava lui. “Dobbiamo farlo prima di ogni cosa per noi stessi, e così dare l’esempio.”
La situazione peggiorò e la discussione si ripeteva puntualmente con siffatto tenore.
Peggiorò ancora, idem come sopra.
Alla fine, anche l’ex pepita con le zampe si arrese all’amara evidenza.
“Forse avete ragione voi”, ammise un giorno. “Siamo troppo piccoli per cambiare la storia.”
Questa storia.
Era il 2004, circa quarant’anni dopo la conoscenza dell’umano al peggio curioso.
L’anno in cui il rospo dorato si è estinto.
Sono passati tredici anni dall’ultimo avvistamento di un esemplare, eppure, sono ancora convinto che, malgrado tutto, noi altri possiamo e dobbiamo fare qualcosa di meglio delle nostre vittime.
Forse lo dobbiamo a noi e a loro.
Perché sarebbe davvero vergognoso comportarsi come se fossimo anche noi.
Degli incolpevoli, minuscoli.
Rospi dorati.


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