Incubo del tifoso razzista

Storie e Notizie N. 1589
 
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È sera, il divano è pronto, il frigo pure, così come le bevande annesse.
Perché non c’è partita senza di loro.
I giocatori? No, quelli son scontati, ed è questo l’abbaglio più clamoroso.
Quanto vergognoso, aggiungo.
Le birre, intendo, possibilmente a fiumi, affinché possano alla bisogna lenire il dispiacere per l’eventuale sconfitta.
Il tifoso guadagna a passo eccitato il soggiorno e conduce il proprio indolente didietro sul morbido, innanzi all’altare catodico.
Il megaschermo ricolmo di pollici e pixel, acquistato a rate e non ancora del tutto pagato, è in attesa di essere portato al massimo del regime pallonaro.
Il nostro clicca il sacro tasto del telecomando e…
E che succede?
Schermo vuoto, campo ricoperto di bianco, neppure di un padano verde, nulla in attacco quanto in difesa, centrocampo assente e, soprattutto, porta scoperta, scenario addirittura più angosciante di un confine privo di gendarmi.
Dove sono?
Non le birre, cribbio.
Dove sono gli sgambanti di professione?
Il tifoso trema come una foglia irrimediabilmente secca, ma con ancora una rabbiosa brama di dar fastidio al mondo.
Sussulto quanto mai vano.
Il supporter berciante, sostenitore con il medesimo accanimento della maglia di casa e dell’insulto libero verso quella straniera, si ritrova di fronte all’incubo perfetto, altro che tempesta.
Niente mondiale, ma neppure Champions e campionati nazionali, trofei prestigiosi da conquistare o solo coppette di ripiego per i ripescati del giorno dopo.
Perché l’incubo di oggi non è altro che la realizzazione precisa e coerente del folle sogno di ieri.
Difatti, in codesto sconvolgente giorno, la Francia si è ritrovata all’istante monca dei suoi principali calciatori.
Per la cronaca, tra loro, il talento transalpino più scintillante, Kylian Mbappé, ha seguito i suoi


genitori immigrati in Camerun, Paul Pogba in Guinea e Ousmane Dembélé in Mali, nazione d’origine del padre.
Stesso destino per l’Inghilterra, la cui rosa è composta in buona parte da brillanti diversità di seconda generazione.
Dele Alli è ora con il padre in Nigeria, Marcus Rashford in Tanzania e Raheem Sterling in


Giamaica.
Idem per il Belgio, nella cui nazionale è davvero arduo individuare cittadini d’origine purosangue, poiché il centravanti cannoniere Romelu Lukaku è volato in Congo con i suoi, Marouane Fellaini in Marocco e Yannick Ferreira Carrasco è ancora all’aeroporto, poiché non ha ancora deciso tra il Portogallo del papà o la Spagna della mamma.

Vogliamo parlare della Svizzera? E parliamone, ovvero di quel che ne rimane, perché tra gli altri, Xherdan Shaqiri è partito per il Kosovo, Granit Xhaka per l’Albania e Ricardo Rodríguez… be’, stesso dilemma di Carrasco, sospeso tra il Cile e la Spagna.
E la bionda Germania?
Ebbene, tra i vari oriundi, o diversamente originari, Mesut Özil è stato avvistato in Turchia insieme a Sami Khedira, mentre le ultime notizie su Jérôme Boateng si fermano in Ghana.

L’altrettanto ex nordica Svezia si è vista analogamente svuotata dei suoi talenti, sicché Jimmy Durmaz è ora in Siria, Martin Olsson in Kenya e John Guidetti in Brasile, così come la Danimarca ha improvvisamente perso Yussuf Poulsen a favore della Tanzania, Pione Sisto a vantaggio dell’Uganda e Thomas Delaney ha paradossalmente pensato che fosse un buon momento per tornare con la sua famiglia negli Stati Uniti.
Ovviamente, credo sia inutile citare la conseguente sparizione da ogni schermo e perfino album di figurine della maggior parte dei campioni di Brasile, Argentina, Colombia e pure Portogallo, nazioni migranti per definizione, o mera destinazione.
Il tifoso è ora in preda a un’angoscia debordante, sbiadendo repentinamente la propria carnagione già pallida di suo.
Perché questo è ciò che accade qualora gli incubi prendano alla lettera il delirio degli ottusi.
Non rimangono che le birre e il poveretto si scola l’intera e ormai unica formazione in campo, nel dettaglio, da sei.
Quello che segue è un sonno disturbato, quasi quanto la consueta veglia del dormiente in preda al panico.
Più tardi, il tifoso intollerante con pubblico vanto, malgrado la testa dolorante per la violenta sbornia, solleva le palpebre speranzoso e per prima cosa afferra il fido telecomando.
Che il dio del fischietto d’inizio sia benedetto, esulta dentro di sé.
È la prima volta che non si strugge di aver perso una partita.
Perché, sebbene privato dei suoi occhi spiritati e delle sue grida forsennate, il match è stato giocato secondo le regole.
Già, le regole, pensa il tifoso.
Le regole del gioco sono importanti, ma vanno aggiornate, affinché i sovrani del patrio divano continuino a godere dei propri privilegi.
Basta immigrati, certo, la pacchia è finita, è chiaro, ognuno al paese suo, è ovvio.
Che gli slogan acchiappa voti e gonzi rimangano tali.
Ma al contempo, le preziose, opportunamente tacite eccezioni a margine, vanno ampliate.
Via libera ai ricchi, da qualunque paese provengano.
E, soprattutto, a tutti coloro che sono particolarmente bravi a giocare al calcio