La Mafia trattò con lo Stato: io sono responsabile
Francesco La Licata scrive oggi su La Stampa una cosa che condivido in pieno, perlomeno per ciò che concerne il nostro paese.
Non mi piace che sia così, anzi, lo detesto, ma questa è la realtà: una storia esiste solo se va in tv.
Il giornalista fa questa premessa per introdurre ciò che è accaduto ieri durante la trasmissione di Santoro, Anno zero.
Il tema della serata riguardava i possibili intrecci tra mafia e politica, argomento di estrema attualità in Italia da tempo immemore.
In particolare, l’attenzione della trasmissione si è concentrata sugli omicidi di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino del 1992, stragi che ancora oggi sono oggetto di investigazione, discussione e quant’altro.
Tuttavia, facendo finta di non conoscere affatto la trama, come se fossimo spettatori di una sorta di giallo al cardiopalma e pieno di suspense, ecco che uno dei personaggi principali dell’epoca, l’ex ministro della Giustizia Claudio Martelli, dichiara in diretta che Borsellino sapeva dell’esistenza di una trattativa con Cosa nostra portata avanti da ufficiali dei carabinieri del Ros.
In un film questo sarebbe un colpo di scena in grado di dare alla storia una scossa importante.
Tuttavia qui non si sta parlando di cinema e tantomeno di un programma televisivo.
Questa è la nostra storia, di noi tutti che viviamo qui, in Italia.
Dal nord al sud, nessuno escluso.
Perlomeno coloro che erano capaci di intendere e di volere in quel lontano 1992.
Se un film ha successo al botteghino o meno, piace alla critica o viene impietosamente stroncato da quest’ultima, tutti ne hanno merito o demerito, dal produttore al regista, dagli attori agli sceneggiatori.
Se fossimo in un giallo, sarebbe sufficiente attendere la fine del film per scoprire i colpevoli.
Nella vita vera, quando un nostro concittadino viene ucciso, la cosa ci riguarda tutti.
Quando poi si tratta di uomini come Falcone e Borsellino, persone ammazzate perché impegnate nella ricerca di una verità che al nostro paese manca come l’acqua al deserto, siamo obbligati a prendere posizione.
Della storia di un paese deve rispondere ciascuno di noi, poiché quella storia la scriviamo ogni giorno tutti quanti, volenti o nolenti.
Ovviamente il carico va distribuito uniformemente, a secondo del livello di responsabilità.
Quando Giovanni Falcone venne assassinato insieme alla moglie e a tre agenti di scorta era il 23 maggio del 1992.
Cominciando dalla cima, ecco ufficialmente i responsabili: Giovanni Spadolini (Presidente supplente della Repubblica e Presidente del Senato), Giulio Andreotti (Presidente del consiglio), Oscar Luigi Scalfaro (Presidente della Camera), e la maggioranza al governo, i cui componenti potete leggere con calma qui.
Paolo Borsellino è stato ammazzato il 19 luglio del 1992, insieme a cinque agenti di scorta.
Sempre partendo dall’alto, ecco chi deve rispondere per primo di ciò che è accaduto: Oscar Luigi Scalfaro (Presidente della Repubblica), Giuliano Amato (Presidente del consiglio), Giovanni Spadolini (Presidente del Senato), Giorgio Napolitano (Presidente della Camera) e tutti gli eletti nella maggioranza al potere.
Di seguito tutti gli altri, scendendo in questa particolare classifica di decisionalità.
Ciò nonostante, se mi fermassi qui, sarei il solito immaturo qualunquista, buono solo a scaricare le colpe sullo Stato.
E’ tutto un magna magna, piove governo ladro e così via.
Nell’estate del 1992 ero un uomo di ventiquattro anni e nei giorni tra la morte di Falcone e quella di Borsellino sono stato in giro per l’Europa a suonare in strada con un gruppo di spensierati amici.
C’era l’Inter rail, non so se oggi esiste ancora.
Sono anch’io responsabile di quelle morti.
Pure il sottoscritto deve dare una risposta.
Anche io devo prendere posizione…