Federalismo pareggio: elezioni o Bossi e Maroni Quaquaraquà



Storie e Notizie N. 323

Presumo che la seguente premessa sia indiscutibile per tutti.
Che si voti a destra o a manca, al centro come nel punto più estremo dell’arco parlamentare, la coerenza è un valore fondamentale.
Fondamentale per l’elettore, ovviamente.
Chiunque di noi ha il diritto e soprattutto il dovere di chiedere coerenza alle persone a cui affida le sorti del proprio paese.
Ovvero dei propri figli, chi ce l’ha.
Ora, se c’è un partito che ha usato come cavallo di battaglia la patente di formazione nuova, diversa dalla vecchia politica dell’attaccamento alla poltrona e delle promesse non mantenute, oltre ai voltafaccia repentini, questa è sicuramente la Lega Nord.
E’ notizia fresca, anzi calda, quella che sancisce lo stop al Federalismo votato nella cosiddetta bicameralina riunitasi quest’oggi.
Il responso ha dato un pareggio, 15 a 15, il che si traduce in una bocciatura.
In previsione di quest’ultimo esito, i principali esponenti del Carroccio hanno rilasciato nei giorni scorsi dichiarazioni forti.
Come ho avuto modo di dire in passato, ripeto che questo blog non dimentica.
D’altra parte, il bello o il brutto – dipende dai punti di vista - del web è anche questo: ciò che dici rimane e può essere usato contro di te

La Storia:

C’erano una volta due amici.
Si chiamavano Umberto e Roberto.
I loro nomi finivano tutti per erto.
Alcune parole con un significato negativo finiscono con erto, come inesperto, sofferto, sconcerto, ma ce ne sono anche di positive, come ad esempio certo.
Applicato ad una persona, è una bella cosa, indubbiamente.
Pensate, per esempio, a qualcuno che fa delle affermazioni delle quali molta gente si fida.
Se questi è un individuo certo di quel che dice, è ovviamente rassicurante per i suoi sostenitori.
Ma torniamo ai due della storia.
Il 2o gennaio del 2011 Umberto disse sulla pubblica piazza: “Lo abbiamo sancito ieri. O il federalismo passa o si va alle urne. Berlusconi è d'accordo, la riforma deve passare al cento per cento”.
Sancito, deve passare al cento per cento, queste sono parole perentorie e inequivocabili.
Chi lo nega, mente sapendo di mentire o ha un serio deficit intellettivo.
Circa dieci giorni dopo, il 31 gennaio del 2011, Roberto esclamò anche lui pubblicamente: “Se giovedì il federalismo non passa andiamo tutti a casa”.
Pure qui, non c’è possibilità di fraintendimento alcuno.
Allorché si inizi la frase con il se e si ponga un’unica e sola conseguenza, quest’ultima rappresenta la condizione necessaria.
Non sufficiente, d’accordo, ma necessaria, ovvero indispensabile.
Anche qui chi dissente è biforcuto o carente nella cervice.
Il 3 febbraio 2011, Umberto lasciò tutti col fiato sospeso.
Laddove alcune anime interessate gli domandarono se il pareggio in bicameralina sul federalismo municipale avrebbe portato alle elezioni, egli rispose con un laconico: “Vediamo, vediamo”.
Ora, il caso o la sfiga – fate voi – volle che il voto sul federalismo si attestò su un pareggio.
Subito dopo il funesto giudizio, Umberto commentò lapidario: “Così si va alle elezioni”.
D'accordo, non si trattò di un più chiaro e diretto: “Si va alle elezioni.”
Oppure, con il massimo della sintesi: “Elezioni.”
Ma fu pur sempre un’affermazione netta, con un’unica direzione: giustappunto le elezioni.
I due avevano altrettante possibilità davanti e anche stavolta chi non è d’accordo è dedito alla menzogna altrimenti è dotato di un cranio eccezionalmente leggero: avrebbero chiesto le elezioni, oppure… oppure stiamo parlando dei soliti Quaquaraquà...



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