Striscione Juventus Torino derby la Storia contro la vergogna

Storie e Notizie N. 822

Le storie, già, le storie… non c’è nulla di meglio di una storia per rammentare quella con la S maiuscola.
Perché ricordare è importante, anzi, è fondamentale, altrimenti qualsiasi azione, anche la più meritoria, può divenire fallace.
Figuriamoci quelle deprecabili…

Era il 4 maggio del 1949 e il Torino era la squadra di Torino per eccellenza, in tutti i sensi. L’era della Juve, quella degli innumerabili scudetti, avrebbe avuto il suo tempo più avanti. D’altronde, è risaputo che per quanto concerne i successi, come per le sconfitte, è sempre una questione di lancette che girano o granelli di sabbia che crollano.
Prima o poi la ruota gira, è banale. Il problema è che non tutti riescono a rammentarsi della precaria natura di un primato. Chi ci riesce, quello sì che viene ricordato ad libitum quale campione.
E in quel caso non si tratta di talento, bensì di eleganza e nobiltà.
Quelle che avevano di sicuro gli uomini che tornavano in aereo da Lisbona, quel 4 maggio del 1949, dopo aver giocato una partita per festeggiare qualcun altro, altra prerogativa dei campioni.
Il capitano dei lusitani, José Ferreira, attaccava gli scarpini al chiodo e con essi l’eco delle urla di giubilo con cui i tifosi avvolgevano i suoi goal.
L’onore delle armi se l’era guadagnato sul campo e chi se non uno, ma ben undici giocatori avversari avrebbero potuto celebrarlo con la giusta attenzione?
Era il pomeriggio di quel 4 maggio del 1949 e a bordo dell’aeroplano vi era un’atmosfera allegra, serena e anche orgogliosa.
E’ bello sapere di essere una squadra forte, lodata e invidiata.
Ancora meglio è quando si ha la generosità di condividere il proprio successo con qualcuno che non sia solo il proprio specchio.
Immaginate di essere lì, tra i campioni.
Il portiere, Valerio Bacigalupo, legge il giornale e commenta ad alta voce le notizie.
E seduto al suo fianco c’è Aldo Ballarin che lo riprende perché vorrebbe riposare.
Seduto alla sua sinistra c’è il fratello di Aldo, Dino, è anche lui portiere e canzona il fratello perché è sempre stato un dormiglione, pure quand’erano bambini.
Accanto a lui c’è lo straniero, il francese Émile Bongiorni, di professione attaccante e anche lui legge il giornale, ma non ad alta voce, sebbene nella sua lingua nessuno lo capirebbe.
Eusebio Castigliano, centrocampista, è seduto nella fila seguente e guarda fuori dall’oblò, perso nel vano tentativo di dar una forma sensata alla nuvole.
Un altro signore del centrocampo, Rubens Fadini, pensa ancora alla partita appena disputata, perché è un perfezionista e non è contento di come ha giocato.
L’attaccante Guglielmo Gabetto ha male ad un piede, ma è contento che non sia il destro, che sa essere il suo punto debole quanto il più prezioso.
Ruggero Grava, Giuseppe Grezar, Ezio Loik e Virgilio Maroso giocano a carte, a briscola, per essere precisi e chiunque vinca nessuno potrebbe decidere chi sia il meno allegro in quello spensierato attimo della loro vita.
Il mediano Danilo Martelli avrebbe voluto giocare con loro ma si è offerto troppo tardi, così aspetta il suo turno, perché a carte è bravo, quasi come con la palla.
Valentino Mazzola e Romeo Menti sono intrappolati in un cruciverba, ma per fortuna giunge in loro soccorso il difensore Piero Operto, specialista giustappunto in salvataggi sulla linea di porta.
Franco Ossola e Mario Rigamonti stanno discutendo animosamente, non litigando, ma solo comunicando con calore, perché è la medesima modalità con la quale affrontano le partite e che per questa ragione sono i campioni del nostro paese.
Per nessun’altra, a buon intenditor poche parole.
Infine, seduto da solo, c’è l’altro straniero, la mezzala ungherese Július Schubert, che guarda il cielo attraverso l’oblò, ma, a differenza del compagno, ignorando del tutto le nuvole, poiché è solo il volto di sua moglie che disegnano i suoi occhi.
Perché gli manca, come a tutti gli altri le fidanzate, le compagne, le amiche.
I figli, i padri e le madri.
E tutte le persone che li amano.
Che per un maledetto incidente non vedranno più.
Per raccontare le emozioni, il dolore, i sentimenti, lo strazio di ciascuna anima dilaniata da una morte improvvisa non basterebbero cento storie, figuriamoci queste poche righe.
Tuttavia, una storia, di poche righe o anche una sola, come uno striscione esposto in curva allo stadio, è in grado di riaprire il cassetto in cui abbiam messo da parte quella con S maiuscola.
Tuttavia, se non avete il cassetto e tantomeno cosa metterci dentro tutto risulta più difficile e, se mi permettete, anche un po’ triste.




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