La crescita economica uccide le lingue del mondo

Storie e Notizie N. 1128

Secondo un recente studio, l’estinzione delle lingue sul nostro pianeta è causata dal successo economico. Le Nazioni Unite, difatti, prevedono che entro la fine del secolo metà delle lingue parlate oggi nel mondo scompariranno, se non faremo qualcosa.
Per farsi sentire, quale portavoce di una delegazione di lingue cosiddette minoritarie, ecco il messaggio di un anziano abitante dell'isola di Hokkaido, nel nord del Giappone.
Uno degli ultimi a parlare la lingua Ainu.

Mi chiamo Fujimaro e non voglio smettere.
Non voglio smettere di parlare.
Non voglio smettere di parlare ed essere capito.
Davvero.
Ho bisogno delle parole.
Non di tutte.
Non ho bisogno di tutte le parole.
Ce ne sono tante di cui farei volentieri a meno.
Sono ovunque, inutile che ve le rammenti.
Le leggi dappertutto, sui cartelloni pubblicitari, sulle etichette della roba degna di questo nome, su tutto ciò che è schermo, ovvero un velo trasparente tra una bugia ad alta risoluzione e carne fresca da azzannare.
Le ascolti vomitate da chiunque si senta in diritto di omaggiarti del suo livore.
E le accogli donate da chiunque si senta in dovere di renderti migliore.
In breve, come lui.
Esattamente come lui.
Un tranquillo uguale tra i molti.
Ma lo so, io lo capisco, il successo, la ricchezza, i soldi sono importanti.
Affrancarsi dalla mancanza di lavoro, dai debiti, dall’impossibilità di godere dei benefici della moderna esistenza è un sogno concreto.
E so altrettanto che tra sogni e bisogni non c’è partita.
Tuttavia, io ho bisogno di quelle parole.
Non sono parole comuni.
Parole intraducibili, che nel vostro mondo non hanno alcun senso e che se per caso arrivassero all’improvviso ne avreste paura indicibile o ne rimarreste folgorati d’amore.
Senza vie di mezzo.
Parole pericolose, ad essere onesti.
Ma solo se le capisci sul serio, con tutto te stesso.
Senza dizionario alcuno, perfino il traduttore di Google.
Leggila pure come la semantica dell’uomo libero.
Definita del pazzo, sui libri che contano.
Ho provato a farne a meno, a fronte di un cellulare nuovo e un’auto super veloce.
Credetemi, ho tentato.
Come molti mi sono adeguato.
E sono quasi morto di memoria, la peggior fine immaginabile per quelli come me.
Perché proprio nell’esatto istante in cui cercavo di dare un nome a quella cosa che saltava confusa tra pancia e cuore non trovavo le lettere esiliate.
Perché la testa, il luogo dove avrebbero potuto abbracciarsi, strette insieme, e prender vita sulla punta della mia lingua, per spiccare il volo oltre le labbra, aveva serrato le sue porte.
Così ho fatto a pezzi madama tecnologia e i suoi doni.
Gli oggetti stessi e i loro nomi.
Le parole che costano.
E le ho ritrovate.
Le parole gratuite.
Ho deciso di combattere per esse.
Pensando.
Parlando.
E più che mai raccontando…