Storie di razzismo: le tre regole del gioco

Storie e Notizie N. 1164 

Il video che mostra l’assassinio negli Stati Uniti del dodicenne afro americano da parte della polizia è stato da poco diffuso.
La colpa?
Il bambino, perché questo sei a dodici anni, aveva tra le mani una pistola.
Giocattolo…

Mi chiamo Tamir Rice.
Sì, mi chiamo.
Non chiamavo.
Perché le immagini rimangono.
Le parole pure, spero.
A futura più saggia memoria.
Se non altro, umana.
Ho perso, d’accordo.
Mi avete eliminato, difensori della gente.
Eroi dei diritti di tutti.
Senza mantello o calzamaglia.
Ma comunque riconoscibili tra il comune popolo.
I cosiddetti, auspicabilmente, civili.
Voi mi avete cancellato dal gioco.
Tuttavia, permettetemi, ma avete compiuto un grave errore.
In questa partita, come nella storia che la racconta.
Le regole, cari paladini che piantonate le nostre strade, sono importanti.
Le regole del gioco sono tutto.
Sono chiare, non potete affermare il contrario.
Anche un bambino le capisce.
E anche un bambino le rammenta.
Sono poche, tra l’altro.
Tre.
Il numero perfetto, dicono.
Mah, in quel poco che ho partecipato, ho capito che nel gioco come nell’amore la perfezione è sbagliata.
Solo la vittoria lo è, come la morte.
Ma poi finisce tutto e così non c’è gusto.
Altrimenti perché continuare a giocare se non puoi perdere?
Altrimenti perché continuare ad amare se non credi che sarà per sempre?
La prima regola è la più facile.
Si gioca perché sai che in quel momento è la cosa migliore che potresti fare.
Da solo o con gli altri.
Quando qualcuno si sente obbligato lo vedi subito.
E’ quello che più di tutti si sforza di sorridere.
La seconda regola è altrettanto elementare.
Tutti possono giocare, se lo desiderino.
Perché se lasci fuori qualcuno, il più delle volte è colui che avrebbe potuto rendere il gioco qualcosa di più.
Molto di più.
La terza regola è ancora più breve, ma è la più importante.
Il gioco è una cosa seria.
E’ da ingenui pensare di poter giocare senza credere minimamente che sia tutto vero, tranne quel che rimane fuori.
Dal gioco.
Ed è una colpa imperdonabile pretendere di vivere tutto il resto come se fosse un gioco, quando è tutt’altro.
Come andare in giro a servire e proteggere con in mano una pistola carica.
E vera…

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