Storie di donne segregate: immagina che…

Storie e Notizie N. 1183

La donna di 55 anni trovata in casa imprigionata e denutrita sino a pesare poco sopra i venti chili è morta oggi all’ospedale di Pavia.
Il compagno, accusato di sequestro e abbandono di incapace, è stato arrestato.
La notizia si dissolverà in fretta, vedrete.
Soprattutto perché – causa trend del momento – non c’è traccia di religioni cattive e origini esotiche nei protagonisti.
Tuttavia, le storie, più che mai quelle piccole, non capiscono la parola discriminazione.
Raccontano quel che trovano…

Immagina.
Immagina che.
Immagina che quella donna sia qualcos’altro.
Che i resti di lei, proprio a causa di un quanto mai evitabile sacrificio, siano metafora di qualcos’altro.
Incapace di dare un senso all’ignobile narrazione.
Ma che lasci comunque qualcosa.
Per gli occhi che volessero davvero guardare.
E per le orecchie che trovassero sul serio il tempo per ascoltare.

Immagina.
Immagina che.
Immagina che tutti i chili strappati, le cellule divorate, i brandelli di bramosie e aspirazioni deluse non siano andati troppo lontano.
Guarda con me, ora.
E ascolta, adesso.
Osserva il corpo esanime sul materasso e senti il respiro impercettibile, vedi il trionfo dell’incuria e odi l’eco di un oblio inciso nel ricordo.
Ecco ciò che giace sul letto.
Solo un ricordo.
Nondimeno, attingiamo insieme al rispetto dovuto per tutta la storia, poiché è un errore imperdonabile giudicare un racconto da poche righe.
Figuriamoci una vita intera.
Leva lo sguardo, allora.
E presta maggiore orecchio.
Concentra i sensi oltre i confini dell’immagine amara.
Li vedi?
Sono ancora tutti lì, i resti trafugati.
L’esistenza sottratta per odio o semplice indifferenza, il che è anche peggio, è ancora qua, nella stanza.
Perché possiamo prendere in ostaggio quanta vita vogliamo e dannarci allo stremo, tutti insieme, nel seppellirla nel punto più profondo della terra.
Qualcosa sembra scomparire, in effetti, ma è solo un’illusione.
Ci convince di aver vinto, di avercela fatta ad andare avanti nonostante tutto.
Nondimeno, i chili depredati, le carni annientate e i pensieri scolpiti su fragili orizzonti che mai giungeranno sono ancora qui.
Dentro di noi.
In realtà, essi siamo noi.

Immagina.
Immagina che.
Immagina, ora, che quella donna sia metafora di qualcos’altro.
Scegli tu cosa.
Basta che le ridiamo quel che le abbiamo tolto.

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