Terremoto Nepal 2015 82 ore per resistere e salvare

Storie e Notizie N. 1219  

Rishi Khanal, 27 anni, è salvo.
Il giovane è rimasto 82 ore sotto le macerie di un albergo di Kathmandu, a causa del terremoto che di recente ha colpito il Nepal.
E’ salvo perché ha resistito.
E perché qualcuno è andato a salvarlo.
Ecco, la storia è tutta lì.
In mezzo…

C’erano una volta i terremotati.
No, non saltate subito alle logiche conclusioni.
Immaginate.
Immaginate con me le vite travolte e sotterrate da più o meno rumorose scosse.
Scegliete voi la scala preferita.
Che i sismologi dell’umano destino definiscano pure la gravità del sisma.
Il risultato non cambia e il quadro rimane intatto, ahi loro.
Respiri accennati e cuori in ritardo, dietro l’ultima curva alle spalle, ma ancora in corsa.
Ancora decisi a superarla, quella benedetta svolta.
Salite con me a cavallo della semplice metafora e osservateli da dove di solito guardi l’occhio che vive.
Giammai sopravvive.
Non si vede nulla, vero?
Polvere, confuse nubi di polvere.
E qualora si diradassero, altrettanto niente, giusto?
La solita grigia e indifferente coperta, tappeto di rovine e resti del comunque condannato gracile mondo.
Nessun suono, giusto?
Neppure la vibrazione di uno smartphone, per quanto modesto.
Indiscutibile evidenza del vuoto.
Là sotto.
Ma si era detto di immaginare, no?
E allora chiudiamo gli occhi e fidiamoci delle storie.
Inventate dall’illuso di turno come citate senza enfasi nel tg di mezzodì.
Uomo salvato dalle macerie dopo 82 ore.
Ottantadue ore.
Mettiamo che sia effettivamente questa la somma della fiducia dell’uno verso l’umanità dell’altro.
Un’ora per sperare che ci sia davvero qualcuno lassù.
Con le palpebre abbassate e le mani in una storia.
Altre tre ore per valutare le conseguenze.
Di un addio alle vite adorate che, volenti e nolenti, continueranno il viaggio.
Come alle esistenze che abbiano in comune almeno l’appartenere alla medesima specie.
Sei ore per sforzarsi di dormire e sognare che sia tutto solo un sogno.
Altrettante per sforzarsi di svegliarsi e convincersi che sia tutto solo un incubo.
Il cui protagonista non sia tu.
Ventidue ore che si scontreranno senza pietà, come nella finale dove il pareggio sia escluso, per le squadre chiamate futuro e morte.
Con il pubblico sugli spalti ignaro di essere anche l’arbitro.
Cinquanta ore, interminabili, ma inevitabili per arrivare con il cuore ancora caldo alle dorate nozze tra la vita che volevi e quella che ti resta.
Con i testimoni della fortunata unione che inizino davvero a comprenderne la responsabilità.
Di aver visto o anche solo immaginato di farlo.
Perché una volta che tu abbia creduto ad una storia.
Potrai solo continuare a farlo, ovvero patirne la mancanza.
Quel che conta è che l’altro sia salvo.
Perché ha resistito.
E perché qualcuno è andato a salvarlo.
Ecco, la storia è tutta qui.




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