L’elefantessa e la solitudine dei sopravvissuti

Storie e Notizie N. 1358

Proprio mentre il presidente degli Stati Uniti Obama stava facendo visita a Hiroshima per il Memorial dei bombardamenti atomici, abbracciando nell'occasione uno dei superstiti, moriva a Tokyo un’elefantessa di nome Hanako, descritta come la più solitaria nel mondo dagli attivisti dei diritti degli animali.
Si trattava di un ‘regalo’ da parte del governo della Thailandia e aveva vissuto quasi tutta la sua vita completamente sola in un piccolo recinto di cemento all’Inokashira Park Zoo.
Esattamente quanto il tempo che ci divide da quei maledetti giorni d’agosto, Hanako è vissuta circa settant’anni.
Ovvero, è sopravvissuta

Prima e dopo.
Lo so.
Anzi, lo ricordo.
So e ricordo quel che so, ovvero ciò che si dice degli elefanti.
Che abbiamo buona memoria.
Magari non fossi stata un elefante.
Magari fossi stata solo una che alla suddetta regola faceva da fortunata eccezione.
Perché io lo so.
Lo so e lo ricordo.
Che non è sempre stata così, la prigionia chiamata vivere.
C’è stato un prima e c’è un dopo.
Dicono, le genti dal pavimento morbido sovente dicono, laddove li sfiori l’onda d’urto che anche ora stravolge destini nel silenzio, che da quel momento il mondo non sarà più come prima.
Che ora siamo già nel dopo.
Ebbene, questo accade ogni secondo, lontano da voi che guardate al di là delle sbarre e che scoprite la solitudine altrui solo al riparo di una fotocamera, possibilmente con opportuni filtri edulcoranti.
Io so e ricordo quel prima.
Perché è lì che non ho mai smesso di abitare.
Con chi in quel prima è rimasto.
In tutto ciò che era danza naturale delle cose.
Prima.
Nelle ferite e nelle gioie quotidiane.
Prima.
Più che mai nelle notti tremebonde, di cieli affogati nel buio e urlanti piogge, che solo ora vedo come piccole e preziose trame dell’unica vera esistenza che ho avuto.
Prima.
Io ricordo perché so e so perché dopo non potevo dimenticare.
Lo devo al maledetto cuore che ancora aveva musica da regalare.
All’aria che non la smetteva di attraversarmi come se fosse padrona del mio corpo.
Alla luce che non si arrendeva e ogni volta riusciva a trovarmi.
Lo devo soprattutto a voi.
Che in tutto questo tempo, in molti siete arrivati e andati via come onde su una riva dove quelli come noi rimangono intrappolati.
Io lo so.
Lo so perché ricordo perfettamente tutti quelli che mi erano accanto prima che il gigante che cancella storie ha camminato su di noi.
Sono l’enorme impronta della sua colossale scarpa.
Sono l’ombra che si attarda oltremodo e si allunga in maniera innaturale.
Sono sempre stata sola.
A sapere e ricordare davvero cosa vuol dire.
Prima.
E dopo.

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