Poliziotto uccide nero disarmato: la fine della storia

Storie e Notizie N. 1386

Negli USA, per la precisione San Diego, per l’ennesima volta, dove il termine ennesima non rende più l’idea, un agente di polizia ha assassinato un afroamericano disarmato.
E altrettanto per l’ennesima volta, dove il termine ennesima è esso stesso usurato, mi ritrovo a scrivere qualcosa di questa grottesca, assurda frase…


Poliziotto uccide nero disarmato.
Quattro parole.
Prendile e stringile forte in una mano.
In una pagina, se preferisci non scottarti.
Quattro parole che sono capaci di fare in pezzi ogni cosa.
Ecco perché va bene lo sfondo bianco, no?
Perché possiamo scriverle e leggerle all’infinito.
E tutto prosegue.
E tutto si ripete.
Perché ci siamo alla fine convinti che tanto nessuno si fa davvero male, su un giornale.
Quando il giornale è come un film.
Ma mettiamo che sia tutto vero, prova a crederci.
Esattamente come davanti a un film.
Ecco, c’è la pubblicità, approfittiamone.
No, aspetta, non devi guardarla, non sei obbligato, malgrado colori e suoni suadenti.
Torna sul filmato principale e osserva le parole una per una.
Vai per ordine e inizia dalla prima, così nessuno si offenderà.
Pronunciala lettera per lettera, scandisci bene e adesso esprimi pure tutto quel che risuona dentro e fuori.
No, nessuna censura, nessuna conseguenza.
Siamo ancora sulla pagina, ricordi?
Svuota pure senza tema ogni pensiero e rigurgito, sensazione e pregiudizio, opinione e percezione che il primo frammento ti suscita.
Fatto? Non ti senti meglio, ora?
Osservalo di nuovo, quel semplice insieme di caratteri.
Poliziotto.
Sono solo dieci lettere che noi stessi abbiamo inventato.
Per la nostra sicurezza e tranquillità.
Bene, ora passiamo all’altro protagonista del maledetto titolo.
Anche stavolta trattieni il fiato e fai lo stesso con ogni riflusso che cerca luce fin dai più segreti recessi del tuo ventre.
Quindi, coraggio, ovvero il suo contrario.
Ed espelli ogni cosa, per una volta lecitamente.
Ecco, guarda quella pozza fumante e riporta i tuoi occhi su quel che resta.
Un colore, la sua negazione.
Solo un aggettivo.
Solo nero.
Solo un aggettivo di quattro lettere che tutti noi abbiamo ottusamente alimentato.
Per la nostra sicurezza e tranquillità?
No, tutto l’opposto.
Fatto anche questo? Bene, adesso arriviamo all’ultima parola.
Come al solito, la più importante.
E’ banale, d’accordo, alla fine della storia c’è la fine di quest’ultima.
Che a tutto metterebbe fine in un secondo.
Come con le altre due, anche stavolta, con tutta l’impudenza che ti contraddistingue, sciorina quel che la parola ti ricorda.
Al riparo di una pagina che tutto accoglie e tutto conserva.
Cosa rimane? Un aggettivo, forse?
No, qualcosa di più.
Una condizione naturale che dovrebbe rimanere inviolabile.
Nove lettere che tutti noi, ovunque, stiamo sottovalutando.
Disarmato.
Ovvero, disarmati.

Ecco, ora sai qual è il portento?
La formula incredibilmente semplice che annullerebbe il maleficio?
Una svista virtuosa.
Uccide.
Un consapevole refuso.
Uccide.
E una salvifica dimenticanza della seconda parola tutti nella stessa frase.
Uccide
Perché quel che resta, alla fine.
Sarebbe finalmente un nuovo inizio.
Poliziotto e nero disarmati




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