Storie sull'ambiente: Migrazioni e cambiamenti climatici

Storie e Notizie N. 1415

Leggo che, secondo figure militari di alto profilo, i cambiamenti climatici renderanno la crisi dei rifugiati inimmaginabile.
Rammentando che il neo presidente del paese più potente e inquinante del mondo, insieme alla Cina, ha fondato la propria campagna elettorale sminuendo il riscaldamento globale e alimentando le fobie nei confronti dei migranti, mi viene in mente una storia…

C’era una volta un mondo diviso.
Un mondo diviso a metà.
In una delle due, la meno affollata, c’era uno.
Uno come molti, magari dal nome che in italiano significa briscola.
Non era il primo e, state a vedere, non sarà


l’ultimo, a sostenere che quella dei cambiamenti climatici è solo una grande balla per spaventare i bravi cittadini dal cuore pratico.
Stagioni cancellate dai vocabolari di ogni lingua parlata e soprattutto sognata, onde assassine figlie di oceani talmente presuntuosi da pretendere di sostituirsi alla terraferma e terraferma che si illude a sua volta di poter fare a meno dell’acqua, poli in vena di scherzi che si travestono da isole tropicali e isole tropicali che si chiedono smarrite: “Ma dove cappero è finito il tropico?”
Ciò malgrado, quell’uno, come troppi, insisteva nel minimizzare il confuso spettacolo.
“Va bene”, esclamava diffondendo tranquillità e foto autografate. “Va tutto bene, non c’è nulla di cui preoccuparsi.”
Allo stesso tempo, sull’altro spicchio di mela, la stessa frase avrebbe potuto scatenare un immediato linciaggio, solo per cominciare.
Inevitabile, se ci pensi con occhio leggero e possibilmente aperto.
Dove natura ha la meglio su cemento, rispetto al viceversa, chi credi che pagherà di più i suoi improvvisi cinque minuti di follia?
Cosicché, invece di far l’Italia quale unica alternativa, gli abitanti del regno di sotto non trovarono altro bivio all’orizzonte: qui si parte o si muore.
I fissati con i battiti del cuore a oltranza, i respiri alternati e tutto quel che puoi chiamare vita si imbarcarono, punto.
Perché, come disse la mosca detta Clarice, che riuscì a sfuggire al famigerato ragno Hannibal lasciando le ali incollate alla rete, prima di finire tra le fauci di una pianta carnivora: non c’è tempo per pensare al bagaglio e alla meta quando hai una fiera pronta a divorarti alle spalle.
Allora, di tutta risposta, quell’uno erto sui tanti vide nel tragico esodo quel che costoro volevano vedere, per non pensare, temere, per non capire, respingere, per non cambiare.
Un nemico.
Sì, avete compreso alla perfezione l’assurdo paradosso.
Con un goffo gioco di mano, degno di colui che deve il nome a un passatempo di carte, ma non è il primo e non sarà l’ultimo, fidati, il nostro prese tutto il ragionevole sgomento per i mari sociopatici, l’aria depressa e le piante schizofreniche per trasformarlo nel carburante più vincente tra quelli di umana fattura.
La paura dell’altro.
Non paventate le nevi d’agosto e gli inverni in bikini, paesi che diventano fango e fango che diviene pavimento, casa e futuro, animali che si sciolgono in foto sul pc e foto sul pc che stenti a riconoscere, perché non c’è tempo per ricordare.
Perché c’è un nemico da temere.
Al meglio, da combattere.
E una volta che l’avremo sconfitto.
Tutto, davvero tutto, questo è indubbio.
Sarà finito.


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