Schiavi nella casa del mondo

Storie e Notizie N. 1543

Milioni di persone vengono sfruttate ogni giorno in Europa e nel resto del mondo. Le vittime sono spesso individui a cui è stato promesso un lavoro dai trafficanti, oppure potrebbe trattarsi di gente che vive ai margini della società, priva di un’abitazione o solo povera. Attraverso minacce, violenza, coercizione o dipendenza da droghe e alcol, viene ridotta in schiavitù, lavora per pochi soldi, vive in condizioni squallide, essendo stata privata del proprio documento di identità.
Nello stesso tempo, donne provenienti dall'Europa orientale e dell'Africa occidentale vengono attirate con il sogno di una vita migliore, per poi cadere in una spirale oscura di sfruttamento e di prostituzione forzata, spesso non retribuita.
Accade anche a bambini, migranti o meno, i quali vengono reclutati, trasportati e poi venduti.
Tutto questo orrore viene lasciato intatto in dissonante armonia con la nostra civile e moderna società…

C’era una volta una casa grande come il mondo.
Come ogni casa che si rispetti, ovvero degna di uno spot da prima serata, o film da botteghino sorridente, la nostra era composta da stanze.
Le stanze della casa grande come il mondo, malgrado si urlasse il contrario, erano abitate da occupanti di natura prettamente transitoria, come le nuvole che rivestono talvolta il cielo.
Il disegno che ne segue non è mai lo stesso e chi afferma il contrario è cieco, oppure vuol render ciechi gli altri.
In una stanza, gli abitanti dall’eternità a termine sinutrivano dei frutti della terra, di ogni forma e colore, gusto dichiarato o moda del momento, di concepimento vegetale o animale senza alcuna soluzione di continuità.
Potevi riconoscerla all’istante, se solo ti fossi appropinquato nei pressi, magari tendendol’orecchio a una delle pareti.
Gnam e ancora gnam, l’incessante danza della masticazione fine a se stessa era sempre in onda, come uno di quei talk show pomeridiani, che vanno avanti a prescindere dalla presenza del pubblico.
Perché il prodotto è già stato venduto, oramai.
Ora non resta che festeggiare, riempi il piatto, fai traboccar bicchieri e gole che oggi mi voglio strozzare, era il solo, perenne refrain della scena.
In un’altra stanza si divoravano altri tipi di doni, in modo ulteriore, ma ben peggiore.
Il cliente di siffatto viaggio nell’inferno altrui vi entrava per alimentarne fiamme e ferite a suo personale godimento, azzannava carne viva come se fosse stata materia virtuale, con la malata illusione di essere su una specie di ottovolante, ovvero immerso in un video gioco, dove nessuno si fa male e al game over puoi vantarti con gli amici del record raggiunto.
Era un gioco, veniva considerato alla stregua di un passatempo, il lento maciullare di anime.
E se questo accade in vita, laddove esista davvero, non oso pensare cosa sarà l’Ade per i colpevoli di tanto.
In un’altra stanza ancora, al cui confronto leprecedenti impallidiscono, la portata principale era di fibra tenera ed essenza preziosa come solo il presente quando diviene futuro in brandelli.
L’alibi per siffatto abominio era quasi pari a quest’ultimo, in un orrendo coro di farneticanti giustificazioni.
Le grida erano lievi, come avrei potuto sentirle?
Sembrava gente a posto, come avrei potuto immaginare?
E, addirittura, sono cose che capitano, purtroppo.
In un’altra stanza, poi, si berciava e si rideva, si offendeva, ma poi ci si rimangiava tutto, si vomitavano menzogne e ci si approfittava di milioni di vite come se fossero solo parole.
Su queste ultime ci si costruivano leggi e alleanze, potere e ricchezze, pretesti per guerre o semplici martiri pubblicamente tollerati.
C’era una volta un mondo grande come una casa.
Un mondo, come quest’ultima, composto da stanze in ciascuna delle quali c’era qualcuno che viveva e godeva indisturbato delle sue presunte fortune piovute dal cielo.
Come se nella stanza non ci fosse stata anche una cella con dentro un prigioniero, in attesa di esser sacrificato per lo status quo.
Sapete qual è la cosa più incredibile?
Il convincimento più diffuso di tale folle comunità era che le colpe di ciò che mancava nel piatto fosse dello schiavo stesso…