Cent’anni di speranze

Storie e Notizie N. 1582

Cari nonni,
queste parole sono per voi, che in due diversi continenti riposate, separati da un mare le cui acque diventano ogni giorno più torbide a causa della sfortuna delle anime affezionate alla vita e per colpa di quelle affezionate a se stesse, punto.
In vita non vi siete mai incontrati, e grazie al privilegio di una pagina e soprattutto il tempo per riempirla – dei quali dovremmo essere, sempre, tutti grati – vi immagino insieme, magari seduti in un comune soggiorno, riscaldato dall’emozione del momento e dalla quantità inesorabile di ricordi da scambiare.


Uno tra tutti, quel che è andato in scena esattamente nel luglio del 1914, per poi uscirne, per buona sorte di tutti i protagonisti, poco più di quattro anni più tardi.
Mi riferisco, ovviamente, al primo conflitto mondiale, la grande guerra, che nel prossimo novembre vedrà celebrarsi il suo centenario.
Vi guardo con attenzione, ora, che ho spiegato il pretesto di questo onirico incontro.
Nel dettaglio, le nonne son sedute sul divano, mentre i rispettivi mariti son ritti in piedi, e più o meno nello stesso tempo le vostre memorie testimoni fanno scorrere l’una dopo l’altra le istantanee più suggestive, i frammenti di parole e immagini, l’eco di paure e angosce, ma anche solidarietà e coraggio, umanità compressa e divisa allo stesso tempo.
Perdonate se mi sono permesso di riportarvi al più terribile passaggio del vostro personale racconto vivente, tuttavia l’occasione è quasi perfetta.
Si da il caso, difatti, che siano passati cento anni dalla fine di quel primo, mostruoso incubo collettivo della storia intera, e il quasi è dovuto al fatto che vi scrivo questa mia decisamente in anticipo, visto che a novembre mancano ancora cinque mesi.
La ragione è semplice.
Ho voluto approfittare dei classici tempi non sospetti, ovvero evitare di correre il rischio di sembrarvi retorico o, peggio, artificiale e poco spontaneo.
Vorrei essere onesto, con voi.
Vorrei esservi vicino e capirvi meglio, adesso.
Più di ogni altra cosa, innanzi a un’Europa che era pericolosamente divisa, composta da nazioni capaci solo di mostrarsi ostili l’una con l’altra e alleate qualora il nemico comune risultasse un vantaggio.
Di fronte a un’Africa fin troppo vulnerabile e martire per mano della prima, attraverso ciniche macchinazioni e indebite invasioni che venivano propinate sotto forma di normale politica estera.
Al cospetto di una società dove la discriminazione delle differenti culture e religioni fungeva da fulcro della campagna elettorale, prima, e da perno del programma governativo, dopo.
Davanti a una società civile che si sarebbe pentita troppo tardi delle proprie responsabilità nel computo finale delle vittime.
Ho un milione di domande, cari avi miei.
Cosa vi ha dato la forza per sopravvivere a tutto questo?
Quale azione vi è sembrata la più giusta e nobile, se letta a posteriori?
Ma, specialmente, cosa avreste potuto fare per impedire il peggio, osservando tutti insieme il tragico passato, ormai ineluttabile?
Sono qui, vi ascolto con tutto me stesso.
Perché le vostre risposte possono salvarci.
E perché le vostre, medesime speranze di cent’anni fa.
Sono ora le nostre...