A settant’anni dalla morte

Storie e Notizie N. 1641

Assecondatemi.
Sì, per favore.
Trattatemi pure come una di quelle persone dal senno fragile e l’animo vulnerabile, che più o meno consapevolmente richiedono condiscendenza dal prossimo.
D’altra parte, l’utopica speranza di entrambi, narratore di storie o semplicemente creatura dal senso della realtà gravemente compromesso, è la stessa: che il viaggio, ovvero la sua conclusione, valga il vostro tempo, se non il prezzo del biglietto.
Lo spunto da cui nasce il seguente sogno è un dato di fatto, come le notizie dalle quali solitamente traggo ispirazione per un racconto, e riguarda proprio l’eventuale diffusione di quest’ultimo quale opera letteraria a tutti gli effetti.
A questo proposito, come molti sanno, il diritto dell’autore sulla propria creazione decade trascorsi settant’anni dalla sua morte.




Da quel momento, la storia, le parole che la compongono, la morale che ne consegue e i personaggi, i quali, con la loro vita inevitabilmente limitata dalle due dimensioni della pagina a essa contribuiscono, divengono all’istante di pubblico dominio.
D’improvviso, tutto appartiene a tutti. Tutti coloro i quali lo sentano proprio, è naturale.
Assecondatemi, quindi.
Malgrado intuiate già a questo punto dove intenda andare a parare, fate finta di nulla e lasciatevi distrarre dall’infantile ingenuità di cui il sottoscritto fa per l’ennesima volta ufficiale ammenda.
Mettiamo che, di fronte alla suddetta simbolica scadenza, qualcosa di simile accada anche all’interno del racconto stesso.
Figuratevi con me quel che possa succedere ai protagonisti di un’esistenza già scritta a settant’anni dalla morte del loro creatore.
Vi invito a farlo adesso con le storie che avete amato di più, perché io non ho potuto evitare di immaginare quanta gioia sia esplosa nel cuore di Cyrano de Bergerac il 2 dicembre del 1988, alla giusta quanto fatidica distanza dalla scomparsa del suo padre letterario, ovvero Edmond Rostand.
Il formidabile spadaccino, nonché rimatore sopraffino, finalmente affrancato dalla schiavitù di una trama sempre uguale, vissuta e rivissuta ogni volta negli occhi e nella mente del lettore di turno, con l’ineludibile tragico orizzonte, puntuale come una perenne infernale tortura, all’alba del nuovo giorno, padrone del proprio destino, si farà avanti con Rossana e le confiderà a tempo debito il suo amore. Il tutto lasciando che il seppur onesto e leale Cristiano si giochi le sue carte senza l’aiuto dell’amico. Che sia la ragazza stessa a scegliere tra la bellezza del giovane o la poesia del suo capitano.
Sì, lo so, è un disegno a dir poco implausibile, roba da bambini. Alla stregua di credere che i giocattoli, come in Toy Story, laddove i giovani proprietari si assentino per la scuola o altro, decidano di prendere vita, trasformando la cameretta nel loro personale mondo.
Ma voi assecondatemi, vi prego.
Tanto, so bene che sia facile arguire dove sto cercando di condurvi.
Nel frattempo, abbasso volontariamente le palpebre e, come se fosse visibile a occhio nudo, osservo quel che succede nel meraviglioso regno di Oz allo scadere dei dritti che imprigionano quest’ultimo a uno svolgimento obbligato. Vedo l’istante in cui tocca alla piccola Dorothy esaudire il proprio desiderio, dopo che hanno fatto lo stesso lo spaventapasseri e gli altri fantastici amici.
D’accordo, alla bambina piace l’idea di tornare nel Kansas, dove c’è la sua casa e la sua famiglia. Il fatto è che ciò è già accaduto un numero incalcolabile di volte, ripetendo la stessa inesorabile scelta a oltranza, nonché a favore del lettore sovrano quanto l’autore stesso.
Ebbene, una volta libera, via le scarpette rosse, e con esse via le invisibili catene di una magia scritta da qualcun altro che non sia lei.
La propria casa può essere per alcuni il luogo più bello che ci sia, ma sarà lì anche al suo ritorno. Al contempo, l’incredibile luogo in cui è volata ha ancora meraviglie da mostrare e se esiste una cosa che Dorothy ha imparato negli anni è che diventano infinitamente di più allorché si cammini guidati dalla propria personale fantasia.
Certo, sono consapevole della debolezza insita in tale peraltro sfrontato azzardo. Nondimeno, non mi stancherò di ripeterlo, vi chiedo umilmente di assecondare ancora per un attimo la mia strampalata teoria, sebbene molti di voi ci vedranno una strumentale manipolazione per accompagnare chi legge a una conclusione prevedibile.
Nel mentre, prendo uno dei primi classici che ho letto da ragazzino, ovvero I tre moschettieri, ed essendo ormai trascorso da tempo il suddetto giorno dell'emancipazione degli eroici protagonisti, lo apro e lo rileggo, anzi, lo vedo per la prima volta intessuto in una trama forse meno avventurosa, più banale, e poco movimentata, ma certamente più gradevole per la povera Constance, la ragazza amata da D’Artagnan, per il quale prova il medesimo sentimento, malgrado sia già sposata. La donna è stata condannata da Dumas alla stregua di molte altre in un’infinità di racconti a essere sacrificata per permettere al lettore di definire nella propria immaginazione i classici contorni di un eroe tormentato, sofferente, e per questo ulteriormente votato alla propria missione. Ma per quanto abbia adorato la versione originale, in quella anarchica che ammiro ora D’Artagnan riesce a salvare Constance dal veleno di Milady. Quindi, con lei e per lei, volta le spalle al Re e agli amici moschettieri. D’altra parte siete già tre, mi sembra di sentirlo dire nel discorso di commiato, quindi, il titolo è rispettato. E vissero felici e contenti, comunque. Anzi, no, almeno per quanto riguardi Constance, molto di più.
Okay, mi arrendo. Queste sono farneticazioni di poco senso, che difficilmente possono risultare autorevoli innanzi a opere che si sono guadagnate eterna ospitalità nella biblioteca dei romanzi di universale valore.
Tuttavia, laddove mi abbiate assecondato fin qui, fatelo per un’ultima occasione, e immaginate noi tutti come i protagonisti di una storia, che spesso e volentieri, sopratutto oggi, prende strade orribili, malgrado le abbia già attraversate più volte.
Eppure, anche noi abbiamo avuto il nostro momento di liberazione dall’incubo di un presente assai travagliato e un finale ben più oscuro.
Si da il caso che il capitolo conclusivo dell’umano romanzo abbia visto incidere sulle proprie pagine la parola fine tra l’8 maggio e il 2 settembre del 1945, il giorno in cui è calato il sipario sulla seconda guerra mondiale.
Perciò, calcoli alla mano, la maggior parte degli autori di quel terrificante libro sono morti da più di settant’anni, e con loro il folle delirio di una razza superiore alle altre, del disumano confinamento di creature ingiustamente ritenute colpevoli di diversità e il crudele isolamento dei membri della società indebitamente bollati come indesiderabili.
Non siamo obbligati a continuare a riviverla, questa trama.
Siamo liberi di non essere i mostri del passato.

Abbiamo ereditato la facoltà di spostarci nel lato giusto della storia.
A questo riguardo, non assecondatemi.
Credetemi sulla parola.


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