Perché migriamo?

Storie e Notizie N. 1882

Perché migriamo?
Intendo noi altri tutti, nessuno si senta immobile.
Perché abbandoniamo il paese, il luogo, il punto esatto sulla mappa in cui ci troviamo, per spostarci più in là, altrove, laggiù, basta che non sia qui?


Potresti evitare di dialogare con me sulla cruciale questione, e magari farti trasportare dal solito e puntuale treno, subdolamente alimentato da menzogne strumentali e specchietti per gli allocchi, più che per le allodole, dove l’untore – ora che le cose vanno meglio – non è più il cinese, ma il bengalese.
Oppure potresti iniettarti un’illusione d’umanità, appassionandoti al solo migrante che susciti


compassione nella porzione maggiormente ipocrita della popolazione: il caro e dolce gattino
Ma se invece hai voglia di ragionare sulla fondamentale domanda, invece di farti anestetizzare dalle risposte più vendute, ovvero false e solo in apparenza gratuite, ti prometto che cercherò di farla semplice, come una storiella.
Mettiamo che la tua casa sia il mondo. Anche se per molti, là fuori, è esattamente così.
Immaginiamo che questo breve racconto duri il tempo di un giorno. Scegliamo un dì di festa, senza particolari e abitudinari impegni, in modo da rendere la trama meno banale. D’altra parte, l’incipit non può essere che scontato, lo ammetto, per quanto si possa rendere originale il risveglio del cittadino medio privato dell’obbligo dell'orario.
Così, a causa della carezza di un raggio di sole, ovvero gli inopportuni passi di qualcuno all’esterno della stanza – o dello stesso appartamento – i consueti rumori della città, le palpebre si sollevano e la storia ha inizio.
Ti tiri su e ti rendi conto di essere sudato. La notte ha fatto caldo e l’afoso mattino che ti accoglie al tuo risveglio non fa presagire alcunché di diverso per il resto della giornata.
Infili le ciabatte e ti alzi. È tempo di muoversi, ora. Di compiere il primo viaggio dato per acquisito. Quello verso il bagno. A soddisfare la più elementare delle primarie necessità.
Ebbene, caro fratello pellegrino, tralasciando la specificità della biologica urgenza, eccoti il primo motivo per il quale le persone migrano: il bisogno. Me che dico? Non rendo merito al dramma se non uso il plurale: i bisogni, già. Tutti i bisogni che puoi immaginare tra quelli fondamentali. Figurati di ritrovarti non dico uno o due, ma con ciascuna delle umane, basilari urgenze insoddisfatte. E in più, aggiungici pure gli scompensi climatici che nel tuo caso disturbano il sonno e poco altro, e che alcuni ottusi insistono ancora nel minimizzare. In tale frangente, non solo migreresti, vero? Ma lo faresti anche correndo a testa bassa, guarda che ti dico.
Ciò nonostante, immagina di ritrovarti all’ingresso del bagno qualcuno che ti dicesse che non puoi entrare. Che non hai i documenti e nemmeno l’umano diritto di oltrepassare la soglia. Un incubo, vero? Già, ma pensa se invece fossi sveglio...
A ogni modo, una volta risolto il tuo mattiniero problemino, torni sui tuoi passi e sai cosa fai? Migri, amico viandante, migri ancora. Perché la gola è secca, ma non disperi affatto. Perché sai che al prezzo di pochi metri di passi strascicati sul parquet a cavallo delle tue pantofoline – di questi mesi le infradito – giungerai nel sottovalutato regno della cucina e dei suoi meravigliosi doni. Tra tutti, un rubinetto con acqua potabile e un frigorifero, più o meno ricolmo di cibo pulito e fresco.
Nondimeno, a questo punto puoi facilmente intuire un’ulteriore ragione per la quale milioni di persone, per non dire mille volte tante, mollano il proprio giaciglio e il poco più che hanno: una manopola magica – ma tu leggi pure miscelatore, il portento è addirittura maggiore – e uno sportello fatato. Ruoti il primo e scopri cosa vuol dire poter scacciare la sete come una mosca fastidiosa tutte le volte che lo desideri. Apri il secondo e la terra promessa, con i suoi frutti, è a portata di mano e quindi di stomaco.
Ciò malgrado, mettiamo che all’ingresso del suddetto reame trovassi dei loschi figuri, impunemente liberi di picchiarti e ricacciarti indietro nell’incubo stavolta reale in cui hai creduto che sognare di fuggire da quest’ultimo fosse cosa normale. E, soprattutto, umanamente comprensibile.
Ma la tua fortuna è che sei solo di passaggio tra le righe di un innocuo raccontino. Indi per cui, dopo aver bevuto e fatto colazione, ti accingi a migrare ancora. Ancora e ancora, da una stanza e l’altra, reale o virtuale, di questi tempi. Poi, non contento di ciò, approfitti del privilegio del movimento, ricevuto
solo per caso dal destino, e ti prepari a continuare il viaggio oltre i confini del mondo chiamato casa, ovunque ti guidi il desiderio, becero o virtuoso, e le esigenze del momento, da quelle infinitamente alte alle più miserrime. E a ogni limitare del tuo abituale vagare tra un mondo e l’altro non contempli nemmeno per una frazione di secondo di ritrovarti davanti all’improvviso un muro invalicabile. Altrimenti, picchieresti il pavimento con i piedi e urleresti di collera innanzi all’indubbio sopruso. Perché esistere vuol dire potersi spostare da un secondo all’altro, da un centimetro all’altro, da una vita all’altra.
Alla fine del giorno, poi, godrai senza alcuna consapevolezza del beneficio di poter tornare dove tutto è cominciato. E ti addormenterai più o meno inquieto, ma con quel minimo di serenità dovuto al sapere che all’indomani, una volta riaperti gli occhi, ciò che ti rende immensamente fortunato sarà ancora raggiungibile...


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