Ursula von der Leyen e la sedia mancante: la storia più semplice
Storie e Notizie N. 1913
C’erano una volta una tedesca, un belga e un turco. La fiaba, o barzelletta, potrebbe iniziare così.
Ma potrei anche esordire dicendo: c’erano una volta una donna e due uomini. La storia non cambierebbe. Perché questa storia non cambia da tempo ed è esattamente questo il problema.
La trama è semplice e il racconto è breve, brevissimo, giacché oramai narrato e consumato sino allo sfinimento degli eventuali ascoltatori.
Pure il finale è sempre lo stesso: gli uomini seduti e la donna in piedi, a osservarli ancora una volta basita e comprensibilmente irritata. Perché molte donne son fatte così. Si ostinano a non abituarsi a tali scenari e, a mio modesto parere, fanno più che bene.
Eppure, la nostra fiaba, o barzelletta, avrebbe potuto godere di ben altri svolgimenti, ciascuno di essi preferibile all’originale.
In uno il belga si alza e offre il suo posto alla donna, dimostrando che i gentiluomini esistono ancora, nonostante tutto.
In un altro è proprio il turco a fare lo stesso, dimostrando che i gentiluomini esistono ancora ovunque, malgrado tutto.
In un altro ancora il belga alza il culo, se mi lasciate passare il francesismo, e si va a sedere accanto alla donna, relegata sul divano. Provando che la solidarietà tra i sessi è ancora uno dei principali alleati verso la parità degli stessi.
In un altro è il turco a sollevare il proprio didietro per muovere nella medesima direzione. Provando che la solidarietà tra i sessi è ancora ovunque il principale alleato verso la parità degli stessi.
In un altro, poi, i due uomini si alzano all'unisono, gettano via le sedie con gesto eloquente, e si seggono per terra. Come a dire, chiediamo scusa se non altro per la maleducazione e ci auto puniamo affinché sia di monito a chi guarda. A chi guarda e di solito giustamente si indigna. A chi guarda e spesso ne soffre. A chi guarda e talvolta disgraziatamente impara le cattive lezioni.
In un altro ancora i due uomini, dopo aver gettato le sedie, mettono a frutto i muscoli indebitamente sottratti alla proverbiale agricoltura e dopo aver sollevato insieme il divano con la donna accomodata su di esso conducono entrambi al centro della scena. Quindi si sistemano alle spalle e via agli scatti dei fotografi. Immortalate pure la vita allorché ci si metta di impegno nel cercar di rimediare agli obbrobri di cui si è macchiata.
In un altro addirittura la donna, dopo aver assistito al comportamento cafone di entrambi, volta loro le spalle ed esce dalla stanza. Ma è ciò che accade subito dopo la vera rivoluzione che conta. Perché le telecamere e i flash dei fotografi la seguono all’esterno, lasciando i due soli, giustamente esclusi dall’inquadratura a cui tanto tengono.
In un altro ancora invece, di fronte a una scena oramai vecchia come il mondo stesso, la donna non si perde d’animo e come fa da tempo immemore provvede da sola riguardo a ciò che le manca di diritto. Indi per cui, apre una borsa che ha portato con sé con saggia previdenza e – tra una miriade di oggetti che le servono quotidianamente per compensare le imbecillità degli uomini – tira fuori proprio una seggiola di quelle componibili. Poi, sotto gli sguardi esterrefatti dei presenti, facendo tutto il fracasso possibile, con chiodi e martello si costruisce la sua sedia. Quindi la sistema proprio in mezzo ai due screanzati e ci si siede con tutto l’orgoglio e la dignità di cui è capace.
Ciò malgrado, devo confidarvi che la trama che amo di più è quella più semplice. Quella in cui nella stanza ci sono tre stramaledette sedie, punto. E in quel caso non ci sarebbe alcun bisogno di altre fiabe e finali alternativi con cambiamenti di sorta.
Coraggio, amiche, sorelle, madri, donne, perché arriverà il giorno in cui vi vedremo occupare una volta per tutte quella sedia mancante.
Il video:
Iscriviti per ricevere la Newsletter per Email
Il mio ultimo libro: A morte i razzisti