L’ingiustizia è curabile

Storie e Notizie N. 1961

Non avremmo dovuto imparare a leggere la vostra lingua.

O, forse, non avreste dovuto traversare lunghi tratti di mare e strategici stretti, illudendoci di essere venuti a portare oro, incenso e mirra, invece che armi e soprattutto infezioni.

Fa male sapere che oltre il delirio che ci divide, più che l’acqua salata, voi altri avevate l’elisir di sopravvivenza, più che lunga vita. Che la fame e la sete fossero curabili ci ha indubbiamente sorpreso, a suo tempo. Ma è anche legge di natura quella che ci aiuta a comprendere che i frutti della terra hanno un tempo ed è sentenza iscritta tra le pieghe dell’orizzonte umano che prima o poi ci scanneremo per l’ultima mela o l’ultimo, benedetto sorso d’acqua. Ma tutto ci saremmo aspettati tranne scoprire che ciò che è inguaribile su una faccia del pianeta è invece curabile sull’altra.

Ogni anno quasi sei milioni di persone di ogni età, soprattutto donne e bambini vengono uccise da nemici imbattili, o almeno è ciò che credevamo.

Non avrebbero dovuto connetterci alla rete.

Noi le chiamiamo sciagure, tragedie, terribili disgrazie, mentre voi altri semplicemente malattie infettive o, addirittura, malanni dell’età, come il morbillo. E adesso veniamo a sapere anche che un rapporto della Access to Medicine Foundation, un’organizzazione no-profit con sede ad Amsterdam, rivela che solo 54 dei 166 farmaci e vaccini analizzati, che salverebbero vite a milioni, sono concessi a noi altri.

Non avremmo dovuto imparare a far di conto.

Anche per quanto riguarda le operazioni più elementari, come 166 meno 54.

112. 112 medicine. 112 flaconi, boccette, scatoline. 112 scritte sulla confezione, con le indicazioni sul retro, le avvertenze nel foglietto illustrativo, il numero di pasticche da ingoiare, o sciogliere, prima e dopo i pasti. Già, i pasti, altra parolina scontata, soprattutto al plurale. Ma al di qua dello specchio, dove insieme a tutte le versioni reali di Alice faremmo di corsa ritorno a casa, l’elenco era differente. Qui sognavi centododici pozioni magiche, lanciavi cento e dodici grida inascoltate ed esalavi dodici più cento ultimi respiri prima di chiudere il racconto, il più delle volte amaramente in anticipo.

Forse, e lo dico davvero a malincuore, a denti stretti e le labbra quasi incollate, non avremmo dovuto sopravvivere.

Poiché è davvero difficile accettare che ciò che hai giustificato come ineluttabile, avverso destino avrebbe potuto essere sconfitto per mano umana, terrena, mortale come te. A cosa è servito pregare ogni divinità supplicabile in cielo? Possibile che sarebbe bastato seguire i vostri passi a ritroso, sino alla coloniale casa madre, per sconfiggere la morte? E poi qualcuno di voi si chiede ancora oggi perché così tanti ci provino, malgrado tutti i rischi sino all’approdo e anche oltre. Anzi, soprattutto oltre.

Da ciò, mi chiedo: è solo una questione personale? Ovvero, stiamo parlando del caro vecchio razzismo? O, magari, anche tra voi salite sull’aereo della vita e quando viene il momento di gettarsi, perché viene sempre, sappiatelo, nascondete il paracadute a chi non ha i soldi per pagarlo?

Be', ricordate anche questo: tale assurda crudeltà funziona soltanto finché i passeggeri zavorra rimangono seduti al proprio posto con la nuca tra le gambe.

Non avreste dovuto ammalarvi in così tanti anche voi. Perché vi abbiamo sentito piangere e lamentarvi come noi e abbiamo alzato la testa. E ora sappiamo che anche l’ingiustizia.

È curabile.

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Il mio ultimo libro: A morte i razzisti