Noi ti avremmo aspettato
Storie e Notizie N. 1982
Cara mamma, eccoti.
Ti prego, accoglici entrambi, di nuovo.
Con gioia ti riabbracciamo.
Avrai molto da raccontarci. Diciamo pure tutto, perché tutto è quel che non abbiamo neppure sfiorato.
Vita assai breve, la nostra, con te, in te, tu per noi, noi per sempre. Così come il racconto dei fatti che ci riguardano.
Era lo scorso ventuno dicembre quando hai avvertito dolore al ventre e ti hanno condotto in ospedale.
“Agnieszka, noi avremo cura di te”, questa fu l’implicita, obbligatoria promessa che ti fecero al tuo arrivo i salvatori di camici vestiti della clinica Beata Vergine Maria, a Częstochowa, in Polonia.
Tu, noi, e il resto della tua, nostra mancata famiglia, ci siamo fidati. Perché alla fine del giorno, tutto è stato deciso per una mera questione di fiducia o di fede, parole che dovrebbero andare sempre d’accordo qualora la sopravvivenza degli infermi e dei più deboli è a rischio.
Due giorni, ecco quanto può durare il viaggio dietro le materne quinte prima ancora che il sipario riveli l’ennesima meraviglia al pubblico di luce e sguardi composto.
Un sol giorno e quello seguente, tanto è bastato per conoscerti e amarti comunque sino al giro di boa dell’eternità, che come una cometa fa il giro dell’universo e ritorna su ogni tratto in cui è già transitata.
Il ventitré dicembre sono morto o morta, non conta il genere, l’orientamento e qualsivoglia ulteriore dettaglio che diviene superfluo quando è una scintilla a spegnersi.
Ma il magico chiarore, la luce buona, il fertile fulgore di cui sono frammento e sogno perfetto sino a disumanità contraria era ancora presente.
Tu eri ancora viva. Mamma, preziosa Agnieszka, eri lì. Chi stringeva le tue mani e con le proprie accarezzava il tuo volto sofferente, lo vedeva, lo sentiva e si fidava degli angeli di bianco vestiti. Perché questo voleva intendere Ippocrate, al netto della semantica di ogni giuramento: chi ti affida la propria vita ti sta chiedendo di custodirla e proteggerla con ogni mezzo.
Ciò malgrado, non è la prima volta e non sarà di certo l’ultima in cui qualcuno si rifiuti di fare ciò per cui non solo è pagato, ma anche obbligato da ogni Costituzione umana o naturale, a meno che non si tratti di un’aberrazione di quest’ultima.
Non possiamo, non dobbiamo e non vogliamo praticare un aborto su questa donna, potrebbe essere la folle sentenza di condanna per l’ennesimo capro espiatorio dell’idiozia legalizzata.
Una settimana è trascorsa da quell’infausto giorno in cui ho pregato, pianto e urlato, sussurrato per la pena, e gridato di nuovo augurandomi orizzonti del tutto opposti, dove la tua vita e la tua morte si davano battaglia nello stesso sogno a forma di incubo.
In uno di essi noi altri, prole solo immaginata, saremmo stati di nuovo in due ma soli. Tu saresti andata avanti e i nostri mancati fratelli e sorelle, assieme al padre che in un destino meno gramo ci avrebbe sollevati e guidati nel momento del bisogno, avrebbero goduto della fortuna che non abbiamo avuto.
Nondimeno, questo è ciò che accade allorché i battiti del tuo cuore dipendano dalla volontà di qualcun altro. Puoi solo implorarlo di essere magnanimo, che si dimostri generoso, per poi chiudere gli occhi e sperare che si riveli umano nell’eccezionale accezione, visti i tempi.
Invece, coloro che avevano il dovere di trarti in salvo e lenire ogni patimento, tradirono se stessi oltre che la tua fiducia. Fecero sfilar via altri due inutili giorni e finalmente, il trentuno di dicembre, si degnarono di liberare il tuo corpo da mia sorella, mio fratello, chiunque sarebbe stato, ma amo tutto.
Amo te, madre, più di ogni altra cosa.
Non sai quanto ti abbiamo amata entrambi in ogni singolo secondo di quasi un mese che dall’inizio del nuovo anno hai trascorso ingiustamente tra sofferenze indicibili causate dal mancato, necessario intervento.
Era il venticinque di gennaio quando sei morta anche tu, mamma adorata.
Oggi è con gioia che ti riabbracciamo, di nuovo.
Accoglici ancora come se non ci fossimo mai lasciati.
Ma è anche con immenso dolore che raccontiamo questa storia.
Perché noi ti avremmo amata e soprattutto aspettata comunque per tutto il tempo che avresti desiderato, se avessero avuto il cuore e la coscienza di salvarti.
Avremmo volentieri messo da parte il nostro filiale egoismo che ci avrebbe voluti inseparabili almeno sino all’istante in cui spiccare il volo, in quel mondo o in quest’altro.
E l’avremmo fatto con gioia infinitamente più grande...
Vieni ad ascoltarmi sabato 12 febbraio 2022 alle 17.30, Libreria Lotta, Roma
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