Presidente della Repubblica italiana 2022: tra passato e futuro

Storie e Notizie N. 1977

Tra le parole del passato e quelle del futuro

Il 24 gennaio venturo avranno inizio le consultazioni per l’elezione del tredicesimo capo dello Stato nel nostro paese.
Non dico alcunché di nuovo quando affermo che in ogni importante decisione che ci attende - dal cui esito dipende un numero considerevole di persone e che le sue molteplici conseguenze avranno ripercussioni durature, vaste e in parte imprevedibili - risulta assai utile tener conto di ogni tipo di precedente. Storico, certo, ma anche politico e sociale.
Per tale ragione, riflettere sui dodici presidenti passati, compreso quello uscente Sergio Mattarella, ci può dare una mano a maturare una visione più consapevole e al contempo lungimirante della portata della scelta all’orizzonte.
Non che il sottoscritto, alla stregua di chi legge, presumo, avrà l’onere di quest’ultima, è chiaro, ma mi sono convinto che fare questo piccolo viaggio assieme ci permetterà di intuire meglio se il nome che verrà fuori sarà stato quello giusto o meno.
Ovviamente, essendo tale il mio elemento naturale, il nostro sarà un viaggio di parole, tra il passato e il futuro.
C’era una volta quindi il 1948, l’anno dei due presidenti; del debuttante, il più breve, e del secondo, il primo a essere eletto dal Parlamento.
Mi conforta il pensiero, ci rassicurò Enrico De Nicola, che attraverso le più disparate concezioni politiche e i più vivaci dissensi di propositi e di idee, nessuno potrà mai dimenticare, al di sopra di tutte le competizioni e al di fuori di ogni dissidio, il sentimento di reciproco rispetto. Mentre, solo quattro mesi dopo, il suo successore Luigi Einaudi ebbe l’onestà di dichiarare che è vero che noi settentrionali abbiamo contribuito qualcosa di meno e abbiamo profittato qualcosa di più delle spese fatte dallo Stato italiano dopo la conquista dell'unità e dell'indipendenza nazionale. Peccammo di egoismo quando il settentrione riuscì a cingere di una forte barriera doganale il territorio e ad assicurare così alle proprie industrie il monopolio del mercato meridionale, con la conseguenza di impoverire l'agricoltura, unica industria del Sud; è vero che abbiamo spostato molta ricchezza dal Sud al Nord con la vendita dell'asse ecclesiastico e del demanio e coi prestiti pubblici.
E c’era una volta il 1955, quando Giovanni Gronchi, il terzo capo di un paese che finalmente iniziava a scorgere un po’ di luce fuori dal macabro tunnel della guerra e soprattutto del fascismo, ricordò ai presenti che la democrazia non è soltanto convivenza e libero sviluppo di forze politiche, ma è soprattutto un costume, attraverso il quale la discussione non sarà rissa, o scambio di invettive, o volontà di sopraffazione, ma sarà, invece, aperto, chiaro, consapevole sforzo di convergenza – pur nella divergenza delle idee – verso uno scopo superiore, che è quello di servire il nostro Paese.
C'era poi una volta il 1962 allorché, seppur dopo una convulsa
serie di scrutini, il neo presidente Antonio Segni sottolineò che un programma non si può valutare per le soluzioni particolari, ma per i principi che lo ispirano, nella valutazione degli interessi supremi della nazione.
E c’era una volta, solo due anni dopo, il 1964 di Giuseppe Saragat, il quale ottenne la presidenza dopo un estenuante confronto tra gli elettori, e si ricorda anche per frasi salaci ma fondate, come gli italiani guadagnano netto, ma vivono lordo.
C’era una volta, allora, il 1971, dalla rivoluzione dei figli dei fiori a l’involuzione di quelli dei proiettili, quando il presidente di tutti si chiamava Giovanni Leone, il cui ammonimento risulta quanto mai attuale ancora oggi, quando disse che non basta mandare i figli a scuola, bisogna accompagnarli sulla via degli studi, bisogna costruire giorno per giorno in essi la consapevolezza che a scuola si va non per conquistare un titolo, ma per prepararsi alla vita.
E c’era una volta il 1982, l’anno del più amato di tutti, il vero eroe dei mondiali di Spagna, Pablito e tutti gli azzurri non me ne vogliano, l’altro signore con la pipa sull’aereo vittorioso, il Sandro Pertini che di parole importanti ne disse molte, ma tra tutte ricordo quando invitò i cittadini a battersi sempre per la libertà, per la pace, per la giustizia sociale, perché la libertà senza la giustizia sociale non è che una conquista fragile, che si risolve per molti nella libertà di morire di fame.
C’era una volta, di seguito, il 1985 di Francesco Cossiga, il picconatore, il presidente dal passato controverso e il presente ambiguo, ma capace anch’egli di descrivere in modo sintetico e lucido la nostra nazione, un Paese "incompiuto", dal Risorgimento incompleto, la Vittoria mutilata, la Resistenza tradita, la Costituzione inattuata, la democrazia incompiuta.
E c’era una volta il 1992, quando ebbe inizio il mandato di Oscar Luigi Scalfaro, che descrisse in modo esemplare il senso dei propri doveri, spiegando che il compito del Capo dello Stato è quello di garantire il rispetto della Costituzione su cui ha giurato. Di difenderla a ogni costo, senza guardare in faccia nessuno. Tra il ladro e il carabiniere non si può essere equidistanti: se qualcuno dice di esserlo vuol dire che ha già deciso di stare con il ladro.
C’era una volta, sempre sette anni dopo, il 1999 di Carlo Azeglio Ciampi che alla vigilia del terzo millennio, toccando un tema ancora oggi attualissimo da noi e ovunque, ribadì che non c'è democrazia senza pluralismo e imparzialità dell'informazione.
E c’era altresì una volta il 2006, l’anno in cui ebbe inizio la più longeva delle presidenze, quella di Giorgio Napolitano, il quale, seppur tra le contraddizioni, si ritrovò a sottolineare che nazionalismo e protezionismo sono nemici mortali della democrazia liberale e riformista.
C’era una volta il 2015, il tempo del presidente attuale e prossimo uscente, Sergio Mattarella, di cui alcuni vorrebbero prolungare il mandato, mentre altri non vedono l'ora di mettere le grinfie sulla somma poltrona, che rivolgendosi a giovani e meno giovani disse che i primi si allontanano e perdono fiducia perché la politica, spesso, si inaridisce. Perde il legame con i suoi fini oppure perde il coraggio di indicarli chiaramente. La politica smarrisce il suo senso se non è orientata a grandi obiettivi per la umanità, se non è orientata alla giustizia, alla pace, alla lotta contro le esclusioni e contro le diseguaglianze.
E c’era una volta oggi, 2022, l’anno in cui - com’è stato in ogni giorno che è preceduto e così sarà durante ciascuna alba che avremo la fortuna di vedere - abbiamo il dovere di conservare e tener conto del buono del passato e proiettare il meglio del presente nel futuro.
Magari nelle mani di una donna, credo che sia giunta l’ora da un bel po’.


Per chi sarà a Roma sabato 12 febbraio: