Fine dello stato di emergenza

Storie e Notizie N. 1986

Leggo tra il consueto quotidiano bollettino di notizie sul progredire della pandemia e, soprattutto, della lotta che come comunità di persone - ancor prima che istituzioni e rappresentanti di queste ultime - stiamo facendo da quasi due anni e con prudente piacere trovo parole che sanno di ottimismo.
Dico prudente, per il semplice fatto che ahimè non sono mai stato un ottimista di natura. Cioè, come dire, mi trovo spesso a ripetere che malgrado consideri l’idea di concentrarmi sulla parte piena del bicchiere una scelta confortante, rispetto alla vocazione al masochismo di chi sia ossessionato da quella mancante, l’esperienza mi ha insegnato che tralasciare entrambe per tener conto unicamente del bicchiere in sé, con tutti i pro e i contro, senza dare per scontata la sua presenza nella tua vita, l’atteggiamento più sano e costruttivo.
Ciò nonostante, mi ritrovo a scorrere il calendario governativo che ci porterà nelle prossime settimane a una data sulla quale si poggiano le aspettative di tutti noi: il 31 marzo, ovvero il giorno in cui terminerà lo stato d’emergenza.
Ebbene, due cose mi appassionano maggiormente nel racconto della contemporaneità: l’uso che facciamo tutti all’interno di quest’ultimo delle parole, a prescindere se in maniera esatta o meno, e quante di esse collimino con la storia che è la realtà stessa a narrare, spesso inascoltata.
Stato di emergenza. A tutti gli effetti, non è affatto errata come definizione, ma trova senso all’interno di un periodo di tempo ben definito, condizionato da un solo termine di paragone: il Covid. E, di conseguenza, il numero di contagiati e di persone in terapia intensiva, i morti e i guariti, i tamponi e le vaccinazioni, ecc.
Al riparo di questa raffigurazione altri vocaboli hanno ottenuto un’importanza e un’attenzione che forse prima non avevano.
Pensiamo alla solitudine, causata e alimentata dai lockdown e dalle varie chiusure delle città.
La realtà del nostro Paese e ricerche risalenti a periodi precedenti l’inizio della pandemia ci ricordano che il 13,2% degli italiani sopra i sedici anni non ha una persona alla quale chiedere aiuto. Si tratta della percentuale più alta in Europa, il cui valore medio si attesta al 6%. Ben l’11,9% dei cittadini nostrani non ha qualcuno con cui parlare dei propri problemi personali, mentre la media europea è del 6,1%.
C’entra ovviamente anche la povertà o il rischio di esclusione sociale per vari motivi, che tocca in particolare le persone che hanno un reddito inferiore al 60% di quello medio nazionale.
Un aspetto critico e varie volte sottolineato in questi ultimi due anni riguarda la carenza di socializzazione, soprattutto tra i giovani. Ma essa non è iniziata con il Coronavirus e nell’era dei social network incentrati più su ciò che si vede, che quel che si ascolta o si legge, moltissimi adolescenti hanno mostrato problemi con il proprio aspetto.
Secondo recenti sondaggi, in Italia la maggior parte dei ragazzi tra i 14 ed i 17 anni considera il fatto di essere in sovrappeso – o anche solo credere di esserlo - come la causa principale di prese in giro e umiliazioni.
Anche da ciò dipende la piaga dei disturbi dell’alimentazione. Dati diffusi nel 2018 ci dicono che ne soffrono circa 3 milioni di nostri concittadini, in particolare i ragazzi. L'anoressia è la terza più diffusa malattia cronica tra di loro, mentre i giovani fra i 15 ed i 24 anni che ne soffrono mostrano un rischio di mortalità dieci volte superiore a quello dei coetanei. Per quanto concerne invece la bulimia, ogni anno si registrano 12 nuovi casi per 100 mila persone tra le donne e circa 0,8 nuovi casi tra gli uomini. Per entrambe, la fascia di età in cui l'esordio si manifesta più spesso è quella tra i 15 e i 19 anni.
Le statistiche, sempre relative al periodo precedente alla pandemia, ci dicono che 4 ragazze su 10 non si sentono belle, il 50% crede di non poter sbagliare o mostrare le sue debolezze, e sempre la metà soffre la competizione con familiari e amici.
Il 70% delle giovani non ha un’alta opinione del proprio corpo e tende per questo a non partecipare a eventi sociali.
Quante volte abbiamo letto e sentito dire che la pandemia ha aumentato i casi di depressione e ansia, nonché la paura del futuro. Ecco, a mio modesto parere la parola chiave in tale affermazione non è pandemia e nessuno dei disturbi sopra elencati, bensì il verbo aumentato. Vuol dire che il dramma esisteva anche prima.
Secondo dati relativi al 2015 si calcola che in Italia le persone che soffrono di depressione superino i 2,8 milioni e che gli anziani presentino una media più alta di quella europea di ben 3 punti percentuali. Per non parlare dell’ansia quale conseguenza della depressione stessa, la quale riguarda 3,7 milioni di persone. Prima del Covid si parlava di 55% di giovani che vedono il futuro incerto e rischioso e più o meno la stessa quantità di adulti che considera il domani anche più precario degli anziani.
Concludo infine con il tema della sanità e di chi ancora oggi non vuole vaccinarsi. A prescindere dalle barricate tra no vax  e avversi, non solo siamo diventati in questi ultimi mesi tutti infettivologi e medici di base, esperti di case farmaceutiche e soprattutto farmaci, ma pare che la salute in generale sia divenuto l’argomento principale ovunque e in ogni momento.
Allora, teniamo conto che prima che tutto ciò avesse raggiunto tale livello di esasperazione, ben 4 milioni di persone nel nostro Paese per precarie condizioni economiche non riceveva assistenza medica in assoluto e a quanto mi risulta non sono affatto diminuite. Come dovremo chiamare questa fetta della popolazione? No Med o cos’altro?
Il fatto è che non si tratta di una loro scelta ma è una disgrazia di cui farebbero volentieri a meno.
In sintesi, ciò che voglio dire è che ben venga la fine di questa emergenza, perché spero che il tempo che l’ha preceduta ci abbia aiutato a prestare attenzione a ciò che faceva e fa ancora soffrire e pure morire nella totale indifferenza una quantità inaccettabile di persone, soprattutto tra i giovani.


Vieni ad ascoltarmi sabato 12 febbraio 2022 alle 17.30, Libreria Lotta, Roma

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