Perché gli Ucraini ci somigliano?

Storie e Notizie N. 1996

Assomigliano a noi, è tutta qui la nostra europea brama di pace?
Non voglio nemmeno pensarlo.
Poi però leggo e rifletto.
Tra gli altri leggo del giornalista della CBS il quale afferma che l’Ucraina “non è un luogo, con tutto il rispetto, come l'Iraq o l'Afghanistan, che ha visto infuriare conflitti per decenni. Questa è una terra relativamente civile, relativamente europea, un Paese in cui non te lo aspetteresti, o spereresti che accada.”
L’ex vice procuratore generale dell’Ucraina, parlando dell’invasione, dichiarare candidamente alla BBC: “È molto emozionante per me perché vedo persone europee con occhi azzurri e capelli biondi… che vengono uccise ogni giorno.”
Ma non solo, un giornalista francese sulla TV transalpina: “Non stiamo parlando di siriani in fuga dai bombardamenti del regime sostenuto da Putin. Stiamo parlando di europei che se ne vanno con auto che sembrano le nostre per salvarsi la vita.”
E il giornalista del Telegraph: “Sembrano così simili a noi. Questo è ciò che lo rende così scioccante. L'Ucraina è un paese europeo. La sua gente guarda Netflix e ha account Instagram, vota alle elezioni libere e legge giornali senza censure. La guerra non è più una cosa visitata da popolazioni povere e remote.”
È così quindi? Siamo tutti pronti, politica, media e cittadini sensibili, a mobilitarci per accogliere i rifugiati solo perché vicini e somiglianti?
Mi rifiuto di crederlo.
Poi però leggo, che ci posso fare.
Leggo e ragiono.
Leggo che i cosiddetti cittadini non bianchi, tra africani, asiatici del Sud e mediorientali, i quali cercano di fuggire dall’Ucraina alla stregua dei nativi DOC, sono discriminati sia dalle guardie polacche che quelle ucraine, venendo spostati sistematicamente in fondo alla fila per dare precedenza agli aventi diritto per carnagione ed etnia, o addirittura aggrediti e derubati una volta passato il confine.

In altre parole, prima gli Ucraini, che in generale diventa prima i bianchi. Anche in una situazione come questa. O, forse, qualcuno potrebbe dire soprattutto in una situazione come questa.
Allora è proprio vero?
La nostra umanità a occasioni e modalità alterne si accende unicamente per merito dell’effetto specchio? Ovverosia, vedo me stesso, mi riconosco e allora, solo allora, simpatizzo? Ma quanto dev’essere preciso questo riflesso? Perché siamo tutti esseri umani, alla fine della guerra o della pace, più che della fiera.
Questo vuol dire forse che in realtà siamo diventati letteralmente capaci di provare empatia, sentimenti ed emozioni reali, soltanto per noi stessi?
No, non l’accetto.
Non si può.
Poi però leggo.
Leggo e mi faccio delle domande.
Leggo dei pericoli della russofobia e di quanti si stanno stracciando le vesti, come si suol dire, in reazione alla censura di Dostoevskij. Ma notando  da quale sponda parlamentare
soprattutto si levano in questo momento le tonanti denunce non posso fare a meno di osservare quanto sia paradossale e grottesca la narrazione delle cose di questi tempi.
Sì, perché coloro che ora si inalberano per la follia e l’ignoranza di chi sospende un evento pubblico intorno a uno dei più grandi scrittori della letteratura soltanto perché compatriota del leader canaglia del momento, sono gli stessi – e non solo loro, diciamo una larga parte dei miei concittadini – che sono dediti quotidianamente, perfino ora, a demonizzare le persone che fuggono da regimi dittatoriali e conflitti molto simili a quello dell’Ucraina.
Ma è perché non ci sono abbastanza familiari? Perché non riusciamo a vederci noi?
Non c’entra il colore della pelle, vero?
No, per favore, non posso neppure scriverne oltre.
Come vorrei non aver letto nulla, oggi...


Vieni ad ascoltarmi sabato 12 marzo 2022 alle 18.00, Libreria Ubik, Monterotondo (RM)

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