Il dente avvelenato

Storie e Notizie N. 2040

C’era una volta un dente.
Ovvero, ecco ciò che resta di Patrice Émery Lumumba. Apparentemente, sottolineando ed evidenziando l’avverbio con un veemente grassetto.
La notizia al centro di questa mia è proprio la consegna agli eredi dei sopravvissuti resti dell’ex premier della Repubblica del Congo, il primo eletto democraticamente per ben quarant’anni, nonché attivista e leader politico, assassinato il diciassette gennaio del ‘61 con la dimostrata complicità delle solite potenze straniere.
In una parola, un dente.
Il dente dell’eroe.
Un dente d’oro del prode campione dell’indipendenza congolese.
Questo è tutto ciò che è stato riposto dal primo ministro belga nelle mani del figlio di Patrice sessantuno anni dopo la sua morte, accompagnando il simbolico gesto con parole che ammettono le responsabilità morali del proprio paese e al contempo riconoscono le gravi ferite inflitte e il notevole valore di Lumumba per l’indipendenza del Congo.
Di denti e parole, avrebbe potuto essere il titolo di questo breve ma sentito pezzo.
Poiché allargando l’inquadratura oltre le cerimonie di riparazione a più di mezzo secolo di distanza, cercando di farvi entrare le vergognose mappe raffiguranti la criminale spartizione del continente africano da parte dei paesi ricchi, ai quali è stato sufficiente aggiungere il prefisso neo alla parola colonialismo – con tutti gli aggiornamenti del caso – non posso che riflettere e rileggere il giustamente ottimista discorso che lo stesso Lumumba fece nel giorno dell’indipendenza.
Solo sette mesi prima di essere barbaramente quanto vigliaccamente assassinato.
Quindi mi permetto di estendere il messaggio del compianto leader a tutti gli africani, e rifletto e rileggo quando egli afferma che nessun africano dimenticherà mai che l'indipendenza è stata conquistata con la lotta, una lotta perseverante e ispirata che si porta avanti giorno per giorno, una lotta in cui non siamo stati intimiditi dalle privazioni o dalle sofferenze e non abbiamo risparmiato né forza né sangue.
Perché è stata giusta, nobile e indispensabile per porre fine all'umiliante schiavitù imposta su di noi. E le nostre ferite sono troppo fresche e troppo dolorose per essere dimenticate. Ancora oggi, a mio modesto parere, anche per colpa del sopra citato raggiro da parte dei "generosi" paesi occidentali, e pure asiatici da un po’ di tempo a questa parte.
Rifletto ancora e rileggo quando Lumumba afferma che noi africani abbiamo sperimentato il lavoro forzato in cambio di una paga che non ci ha permesso di soddisfare la nostra fame, di vestirci, di avere un alloggio decente o di allevare i nostri figli come persone care, che mattina, mezzogiorno e sera siamo stati oggetto di beffe, insulti e percosse per il colore della nostra pelle. Abbiamo visto le nostre terre sequestrate in nome di leggi apparentemente giuste, che riconoscevano solo il diritto del potere, che la legge non è mai stata la stessa per i bianchi e per i neri, che era clemente per gli uni, e crudele e disumana per gli altri, che nelle città i palazzi erano per i bianchi e le capanne diroccate per i neri. E non posso fare a meno di provare indignazione e amarezza sapendo che sta parlando al passato...
Rifletto e altresì rileggo quando il nostro aggiunge che faremo in modo che le terre del nostro paese natale siano davvero utili ai suoi figli, rivedremo tutte le vecchie leggi e le trasformeremo in nuove che saranno giuste e nobili, faremo in modo che tutti i cittadini godano nella massima misura delle libertà fondamentali previste dalla Dichiarazione dei diritti dell'uomo, elimineremo ogni discriminazione, qualunque sia la sua origine, e assicureremo a ciascuno uno stato di vita degno della sua dignità umana e degno del suo lavoro e della sua fedeltà al Paese, istituiremo nel paese una pace basata non sui fucili e sulle baionette, ma sulla concordia e sulla buona volontà. Ma sapendo che sta parlando al futuro e, soprattutto, che tali sogni sono presenti nel cuore di ciascun popolo oppresso e non della terra, riesco forse a comprendere meglio l’enorme valore di quel dente.
Un dente avvelenato, il quale esige ancora giustizia, libertà e restituzione del maltolto. E non lo fa né al passato, né al futuro, solo al presente.
In una parola, ora.

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