Il primo

Storie e Notizie N. 2037

Federico Carboni, alias Mario, prima persona nel nostro paese che ha potuto legalmente optare per il suicidio medicalmente assistito, se n’è andato stamattina.
Lo ha fatto come ha voluto, come è giusto che sia.
A lui, ai suoi cari e a tutti quelli che ancora aspettano dedico questa mia.


C’era una volta il primo.
C’è n’è sempre uno, affinché ce ne siano altri.
Affinché ci sia vita, e il poi, qualunque esso sia.
Affinché, in modo simile, ci sia una storia da raccontare. Fino all’ultima pagina.
Tuttavia, immagina che la tua esistenza sia come un racconto.
Ne sei l’autore e perfino il protagonista, sino a prova - o meglio intrusione, prepotenza, abuso, finanche ruberia e violenza, contraria.
Nondimeno, per quanto tu possa ingegnarti nel conservare il controllo della penna, della macchina da scrivere o tastiera del pc, ci sono un’infinità di dettagli, più o meno importanti, che non puoi scegliere.
Di certo non ti è concesso di decidere l’inizio. E per quanto tu possa risultar capace di caratterizzare l’incipit, dalla peculiarità del vagito o dello strepitio, passando per lo stile nella gattonata o la primissima parola pronunciata, sino a ogni tipo di infantile, umano esordio, la giovanissima età da un lato e l’imprevedibile intervento degli adulti attorno condizionano del tutto il tuo destino.
Quando poi cominci a maturare i primordiali tratti di un’identità, che vorresti a immagine e somiglianza di qualsiasi quotidiano sogno attraversi la tua frenetica immaginazione, incontri freni a mano ovunque.
È la bestia nera di ciascuna adolescenza, bellezza, in cui puoi liberamente immaginare di essere chiunque, a condizione che il mondo abbia già confezionato e griffato l’abito adatto.
Eppure ci provi a dir la tua, a imprimerla sul foglio come un tatuaggio indelebile e possibilmente che risponda a tono a ogni occhiataccia e ingiuria, e talvolta hai successo.
Di rado prosegui su tale faticosa strada, ma qualora accade, a prescindere da giorni lieti o meno, esulta, perché stai effettivamente scrivendo la tua storia.
In tutti gli altri casi, è una continua lotta, dove chiunque si sente in diritto di strapparti la suddetta penna dalle mani. Anche coloro i quali hanno già rinunciato da tempo alla propria, ma guarda un po’, hanno un sacco di cose da spiegarti sulla tua.
Nel mentre, il tempo passa, le pagine che restano diminuiscono, e allorché la risma rimanente inizia a esser visibilmente più esigua di quella riempita, non puoi fare a meno di domandarti quasi ogni giorno: ma è davvero mia la trama che vi è impressa?
Poi, per mala sorte o decisioni dolorose, capita che il racconto si faccia tristemente difficile da narrare.
In talune occasioni, in modo irreversibile.
Gli anni, i mesi, i giorni, le ore, ciascun secondo sfila via con una lentezza inaudita, e così il bianco ancora intonso, che spesso aspetta ancora almeno quanto te, sin dal primo giorno, di vederti scrivere qualcosa di indiscutibilmente tuo.
Finché non alzi gli occhi e accanto alla trasposizione di ogni istante che hai vissuto vi è una sola pagina.
Mettiamo ora che col disincantato senno di poi, tu riesca all’ultimissima curva di tirar fuori la voce e il coraggio di reclamare, più che mai legittimamente, il sacrosanto diritto di scrivere la tua storia.
Solo la tua, senza violare la libertà di chicchessia, se non l’arrogante presunzione di poter schiacciare quella altrui.
Immagina di essere il primo, malgrado ce ne sia sempre uno, in modo che altri possano godere della medesima conquista.
Vittoria amara, talvolta, che si chiama comunque vita, tale sino all’ultima riga della storia.
Affinché tu possa, perlomeno al calar del sipario, vedere rispettata la promessa facoltà di scrivere da te il tuo commiato.
In una parola, fine.
E sinceri, dovuti quanto commossi applausi al primo.

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