Se l’Italia fosse una casa
Storie e Notizie N. 2043
Al cospetto dell’ennesima tragedia annunciata, paventata, ridimensionata o ignorata, come quella della siccità e la crisi idrica, mettiamo che il nostro paese sia una casa.
La casa dove abita un uomo solo, che vive come tale.
Ebbene, non posso fare a meno di immaginarmi una persona di mezza età o anche più, con il fisico fuori forma, dedito a una vita sedentaria e abitudinaria.
Esce solo per andare al lavoro, ovviamente con un’auto possibilmente grossa, alta e larga, con le ruote enormi e il cofano prepotente, con cui passar sopra gli altri automobilisti, ancor prima che sfrecciargli accanto. Fa molto caldo e se ne lamenta spesso nei brevi tragitti tra la porta di casa e il garage e ritorno, tra lo sportello della macchina e l’ufficio e viceversa, tra la sua abitazione e il bar, il supermercato o la farmacia e di nuovo a casa, a seconda della necessità del momento, più o meno reale.
Nondimeno, esprime quasi sempre un sospiro di sollievo ogni qual volta sente sbattere la massiccia porta blindata alle spalle e, soprattutto, dopo aver fatto scattare i vari chiavistelli di ultima generazione per cui ha speso una fortuna. Perché in quel modo ha chiuso fuori tradizionali nemici e soggetti indesiderati, tra immigrati, rom, persone dalla sessualità alternativa alla sua - che a questo punto è ormai solo virtualmente binaria – e in generale persone che vogliono qualcosa da lui che non è intenzionato a dare neppure a se stesso.
Al contempo ad attenderlo vi è ogni sera la sua migliore amica, l’aria condizionata, pronta ad abbracciarlo affettuosamente. O almeno è ciò su cui ripone totale fiducia.
Una volta al sicuro, dal suo personale punto di vista, dopo la consueta, rinfrescante doccia consumata senza alcun risparmio, il nostro fa sosta al frigo e fatte le dovute scorte di porcherie piene di zuccheri, coloranti e altro saporito marciume, si dirige eccitato verso il suo partner libidico preferito assieme al letto: il divano.
Certe volte, allorché il delirio prende il sopravvento – e di recente capita sempre più spesso - si convince che i due siano gelosi l’uno dell’altro e che in sua assenza si azzuffino per contendersi il primato nel suo cuore.
È con tale gratificazione nel petto che una volta allungate le flaccide gambe sul morbido afferra il sacro telecomando e si lascia irretire, eccitare e poi sedare, ma mai del tutto soddisfare, dal colossale schermo tronfio di pollici e alta risoluzione.
All’interno della moderna tana dall’arredamento e il mobilio simile a buona parte del vicinato, montati e organizzati con le sue mani – e si vede – la fine della giornata giunge in seguito a una grassa cena iper condita, sanguinosamente cotta o sadicamente fritta, mentre l’uomo crolla nel sonno dell’indifferente, più che il giusto, tra le spire del letto o del divano, a seconda di chi stavolta sarà stato il prescelto.
Tuttavia… c’è un tuttavia grande come una casa, quella in cui il nostro vive.
Una casa colpevolmente vecchia e trascurata.
Dire che l’impianto elettrico non è a norma suonerebbe come un offensivo eufemismo nei confronti di Benjamin Franklin, Charles Augustin de Coulomb, Charles du Fay e lo stesso Thomas Edison messi assieme.
Per non parlare dell’esorbitante quantità di elettrodomestici e apparecchi a corrente che succhiano a ritmo continuo e caotico da prese e ciabatte ormai squagliate, tramite grovigli di fili talmente annodati che seppure fossero stati intrecciati da Arianna, lo stesso Teseo si arrenderebbe ancor prima di cominciare.
Le mura cadono a pezzi, diciamolo, e quelle che si notano sui soffitti non sono più delle semplici macchie di muffa, ma è l’umidità stessa che piange inorridita e non sa più se provare compassione o disgusto per quell’incosciente che ronfa di sotto.
In conclusione, ovvero giusto per smettere di infierire e mettere la parola fine a quest’incubo assai realistico a mio modesto avviso, per venire alla tragedia di cui sopra, lasciamo per ultima la rete idrica di questa abitazione in rovina, evidente per tutti tranne chi ci vive.
Non è una rete, forse un tempo lo era. Perché una rete degna di questo nome è composta da linee connesse l’una con l’altra a tal punto che da ogni nodo in cui esse si incrociano è possibile raggiungere tutti gli altri.
Dietro quelle pareti che solo in apparenza garantiscono protezione e sicurezza all’interno vi è un vero mostro. Un’orribile fiera che ha la forma di una piovra moribonda dai tentacoli in palese decomposizione, dove si contano più i fori e gli squarci che le parti solide.
E la cosa più agghiacciante è che quell’immonda creatura è la fonte dalla quale l’uomo trae il suo più importante mezzo di sopravvivenza, senza il quale morirebbe in poche ore, e che invece dovrebbe curare, proteggere e rendere sicuro più della sua stessa vita.
Un tempo la chiamavamo acqua pulita.
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