Sui proiettili e gli interventi stranieri
Storie e Notizie N. 2069
Cosa fare quando in un Paese più o meno lontano da noi la popolazione si trova in gravi condizioni per i più disparati motivi, da una guerra civile a una catastrofe naturale, così come a causa di un’invasione straniera o una tragedia di tipo climatico come la siccità o un'alluvione, è un argomento di estrema attualità oggigiorno.
Vi invito a rifletterci tramite una storia, come al solito ispirata da eventi realmente accaduti.
C’era una volta Haiti.
Una delle molte, troppe terre aggredite e ferite a morte da quel terrificante, crudele e sadico mostro – incredibilmente ancora non riconosciuto come tale, ma nel mio piccolo sto provando a rimediare, vedi poi – chiamato Colonialismo.
C’erano una volta quindi gli Spagnoli, è chiaro, e pure i Francesi, è ovvio. E, naturalmente, gli Stati Uniti d’America.
C’era una volta allora, col passar del tempo, una nazione vulnerabile quanto fragile, resa tale anche da coloro che strenuamente difendono i propri confini, come dire, in modo unidirezionale o semplicemente ipocrita.
Arriviamo quindi al 1915, l’anno dell’occupazione da parte dei vicini più potenti, ovvero gli USA. A portar pace e democrazia, ordine e stabilità, come dal Manuale del perfetto imbroglione travestito da provetto regolarizzatore delle esistenze altrui.
A portare, alla prova dei fatti, violazioni dei diritti umani ed esecuzioni sommarie, linciaggi sulla pubblica piazza e omicidi brutali, lavori forzati e torture per i sopravvissuti, oltre alla diffusione dell’immancabile piaga del razzismo.
Di mezzo due guerre mondiali, quindi la presunta pace del Regno del mai più, leggi pure come una puerile fiaba per adulti resa sempre meno credibile da una Guerra fredda che tale non è mai stata. Bensì rovente sin nelle viscere della terra che divide e unisce a seconda dell’interesse bancario o petrolifero.
Sino al 1994, l’anno del Colpo di Stato contro quell’integerrimo galantuomo del Presidente Jean-Bertrand Aristide e della pronta risposta degli Avengers nel mondo reale. Mi riferisco all’Operazione “Sostieni la Democrazia” orchestrata dagli Stati Uniti a braccetto con Polonia e Argentina e con l’avallo delle Nazioni Unite.
Di nuovo, a offrire i consueti doni: democrazia, giustappunto, ordine, sicurezza e libertà.
Traducendo a posteriori, asilo per i precedenti aguzzini macchiatisi di ripetute violazioni dei diritti umani, collaborazione dei presunti salvatori con le sanguinarie forze armate haitiane, per poi lasciare la parte più povera della popolazione al proprio destino, concentrandosi sugli interessi acquisiti grazie al piano di privatizzazione economica preparato dal Fondo Monetario Internazionale.
Dieci anni furono sufficienti agli Stati Uniti, stavolta con la complicità della Francia, per passare dal ruolo di chi interviene a causa di un Colpo di Stato a coloro i quali ne organizzano uno.
Difatti nel 2004, con la regia USA, i ribelli spodestano lo stesso Aristide, ovvero il presidente posto in carica dagli stessi americani dieci anni prima.
E cosa resta in mano al popolo haitiano? La polizia che si rende responsabile di arresti illegali e, in alcuni casi, di esecuzioni extragiudiziali; il sistema giudiziario allo sbando, mentre i crimini più gravi restano impuniti.
Nonostante l'arrivo di forze militari internazionali incaricate di ristabilire un ambiente stabile e sicuro, gran parte del paese rimane sotto il controllo di gruppi armati irregolari. Allo stesso tempo, gli Stati Uniti continuano a negare agli haitiani sul territorio statunitense una protezione temporanea. Intercettano coloro che fuggono dal loro paese e li rimpatriano immediatamente, in una chiara violazione della protezione internazionale dei rifugiati.
Direste magari a questo punto: ma che storia è? Possibile che non ci sia pace per questa gente? Un attimo, perché non è ancora finita...
Nel 2010, se tutto ciò sin qui raccontato non fosse sufficiente, ci ha pensato il terremoto a flagellare ulteriormente vite e speranze.
Ma niente paura, ovvero il contrario, perché là fuori, oltre i confini che hanno qualche valore solo in un senso ci sono loro, gli amici che vengono per salvare e aiutare.
Risultato: 800.000 infetti e quasi 10.000 morti a causa del colera importato dai peacekeepers delle Nazioni Unite, oltre a continui abusi ai danni delle donne haitiane da parte dei caschi blu.
Eccoci quindi a oggi, il 2022.
Venerdì scorso il governo ha autorizzato formalmente il primo ministro, Ariel Henry, a richiedere dall’estero – il che vuol dire soprattutto gli USA – l’invio di "forze armate specializzate" con lo scopo di riprendere il controllo di Port-au-Prince, la capitale, divenuta preda di centinaia di bande che infestano la città.
Al contempo, però, con la cognizione di causa di chi lavora sul campo e affronta quotidianamente le condizioni peggiori della vita ad Haiti, c'è chi non condivide la scelta di fare entrare ancora una volta soldati stranieri: "La nostra reazione immediata, come organizzazione medica, è che questo significa più proiettili, più feriti e più pazienti", ha affermato Benoît Vasseur, capo missione di Medici senza frontiere. "Vengono per anni e le cose migliorano leggermente, ma poi se ne vanno ed è peggio di quando sono venuti all'inizio", ha dichiarato il portavoce di un’altra ONG. "Qualsiasi soluzione sostenibile ai problemi di Haiti deve venire dall'interno".
Be’, alla luce di quanto illustrato sin dall’inizio, come si può dargli torto?
Forse il vero problema non è solo nell’aiuto in sé, ma anche in chi si incarica o viene incaricato di offrirlo. D’altra parte, è difficile che vada bene se si tratta di uno dei molti responsabili dello stato attuale delle cose...
Tutto questo mi ricorda un’altra storiella, ben più celebre della mia, che finisce con la disperata domanda della protagonista: "C’è qualcun altro lassù?"
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