13562

Storie e Notizie N. 2107

Un immaginario, per quanto verosimile, stralcio dell’auspicabile processo contro la multinazionale del petrolio Shell presso l’Alta corte di Londra:

Sì, signor Giudice, veniamo dalla Nigeria.
Tutti, esatto.
Quanti siamo? A occhio e croce circa 14.000.
Di preciso? Guardi, a oggi siamo esattamente 13562.
Sì, lo so, siamo tanti, è vero, ma avremmo potuto essere molti di più, a dirla tutta e questa è una parte essenziale del problema. Ovvero, del crimine.
In che senso? Ci arrivo, signor Giudice, mi dia un attimo, non le ruberò troppo tempo. A esser sincero, non le ruberò nulla, non siamo mica noi i delinquenti e, in questa diatriba, posso parlare a nome di tutti gli altri, presenti o meno.
Quale crimine, signor Giudice?
Ecco, questo è un aspetto complesso, perché potremmo dedicargli ben più che un singolo processo, ma cercherò di semplificare, poiché è già un inaspettato successo essere arrivati sin qui.
La legge è uguale per tutti, dice? Se lo fosse, caro signor Giudice, non avremmo dovuto superare ancora una volta i mari e le atrocità che ci dividono per essere ascoltati.
Sì, certo, vado al dunque.
Vede, il tutto è iniziato più o meno 80 anni fa, precisamente 86. Era il 1937 quando gli inglesi della Shell D’Arcy, come si chiamava allora, iniziarono a trivellare e scavare tra le nostre terre. Sottolineo nostre, perché sembra che tale aggettivo possessivo abbia senso solo quando siamo noi altri a compiere il tragitto inverso.
A ogni modo, dopo le solite promesse da bianco colonialista sui numerosi vantaggi per le popolazioni locali di questa ennesima invasione impunita, ci sono voluti quasi vent’anni e alla fine il petrolio ha fatto il suo ingresso in scena.
Diciamo che spesso si comporta un po’ come il Godot della nota commedia e col tempo ci siamo convinti che sarebbe stato magnifico se la nostra vicenda fosse finita allo stesso modo. Invece nel nostro caso l’ospite tanto atteso è arrivato eccome e da lì sono iniziate le nostre sciagure.
Sì, signor Giudice, ha capito bene: avere il petrolio sotto i piedi non è detto che sia una benedizione, soprattutto se sei africano. Ma veniamo alla nostra accusa nel dettaglio.
Noi abitanti del Delta del Niger, in particolare delle comunità di Ogale e Bille, riteniamo i signori della Shell
responsabili di aver devastato l’ambiente in cui siamo nati e cresciuti, uccidendo letteralmente l’acqua e ciò che in essa vive, che a sua volta è nutrimento per le nostre famiglie e soprattutto i nostri figli.
Le prove, signor Giudice? Le prove sono qui, ora.
Le prove siamo noi.
Le prove sono gli undicimila bambini morti prematuri all’anno.
Le prove sono i segni della fame e degli stenti di migliaia di persone private dei mezzi per sopravvivere.
E se tutto ciò non bastasse, le prove sono nelle tasche, nei conti in banca e nelle pance dei distruttori del nostro futuro, i quali soltanto nei primi nove mesi dello scorso anno hanno incassato almeno 30 miliardi di dollari.
Cosa pretendiamo, signor Giudice?
Facile rispondere, può chiamarla restituzione, riparazione o semplicemente giustizia, perché è ciò che ci spetta di diritto da secoli e finché avremo vita in corpo torneremo da voi incessantemente per ottenerla.

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