Festa della Liberazione dal passato
Storie e Notizie N. 2139
Mi piace pensare, ovvero immaginare o addirittura sognare, che in quei giorni bui per definizione, se non per sana memoria, una persona tra le molte, magari in giovane età e con ancora intatta una coraggiosa fiducia nel futuro, abbia riposto le proprie speranze nella lettera che segue. Che so, infilandola nella classica bottiglia prima di gettarla in mare. Oppure chiudendola sotto terra in uno scrigno, con l’obbligo per i posteri di riaprirla alla luce di un domani diverso e nettamente migliore.
In parole povere, finalmente libero dal passato.
Caro te, che vivi laggiù, al di là dei confini di un calendario che al massimo sfiorerò, dove vorrei essere e vivere anche solo per un giorno.
Che bello nascere e crescere nei tuoi panni, vero? E che fortuna avete voi altri, avendo smesso di vivere nella paura. La paura di dire ciò che si pensa di fare, ancor prima di fare, e di dire o addirittura di pensare, ancor prima di fare o dire.
Non avete più paura, è così? E avrete di sicuro sconfitto quell’odiosa forma di auto censura delle proprie stesse emozioni, oltre che delle idee, che ti imprigiona più delle catene del metallo più resistente al mondo.
Che meraviglia dev’essere il poter dar fiato in ogni istante e luogo a finanche il più intimo pensiero o afflato del cuore senza temere di essere per questo linciati sulla pubblica piazza, più o meno metaforica che sia.
Ma che dico? Per voi la libertà non è più un mito da sognare nel bel mezzo di un’ottimista figura retorica. Voi siete liberi, perché liberi ci siete nati. E ci siete nati perché alcuni di noi non lo erano e hanno dato via tutto per tutto ciò che non avevano.
Solo così si cambia il mondo una volta per tutte: lottando fino alla morte finché sia aggiunto ogni frammento dell’idea originale, come si fa con i puzzle. Perché se decidi di tralasciare e trascurare quel pezzo mancante, giorno dopo giorno, anno dopo anno, si allarga a dismisura alla stregua di un’innocua macchiolina di muffa sul soffitto. E tutto ricomincia e torna come ora.
Vi chiedo perdono, ma come invidio voi altri che abitate in un Paese che si è affrancato da ciò che in questo momento limita la nostra stessa esistenza e oscura ogni orizzonte che possiamo immaginare possibile. Tra le molte, l’idea che una comunità di persone possa affidare ogni aspettativa sul presente, oltre che sul domani, a una singola persona, per quanto popolare, carismatica e fotogenica; la convinzione che un governo sano e orientato dalla parte dei cittadini sia quello che prende decisioni sbrigative e semplificanti su ogni argomento e che consideri il confronto fra pareri differenti e anche discordanti su quest’ultimo come un’inutile zavorra; e la teoria secondo la quale la forza di una nazione si misuri nella potenza del suo esercito e delle armi di cui si è dotato.
Immagino non sia stato facile superare tutto questo e anche il resto. Si legga pure come gli orrori del mio tempo, oltre che gli errori, di cui fare ammenda con morti e sopravvissuti, e i loro discendenti.
Potrei riferirmi banalmente alle leggi razziali, ma voi, gente illuminata, saprete meglio di me – è ciò che spero più di ogni altra cosa – che quando l’inferno si fa norma, dopo aver curato quest’ultima come se fosse una malattia bisogna far lo stesso con il virus che l’ha generata. Altrimenti, troverà altre forme e nomi con cui infettare il mondo.
Potrei altresì menzionare con non meno scontate parole i crimini coloniali, le violenze, i massacri, le ruberie di geografie e storie viventi, ma di sicuro conto sul fatto che avrete compreso che quando si porta morte e sofferenza oltre i confini della vita altrui, si riceve in dote un obbligo di riparazione dei torti inflitti nei confronti delle vittime che non ha scadenza finché non ci sarà pace e serenità per entrambi. In caso contrario, vedrete che costoro verranno da voi incessantemente a presentarvi il conto.
Chiedo scusa, ma non riesco ad andare oltre. Al pensiero di mettermi nei vostri panni, per vivere in una terra a tal punto libera da ciò che per noi oggi è un incubo che si chiama realtà, mi sento scoppiare di gioia come l’unica bomba che avrebbe ragione di esistere.
Prima di salutarvi, vi lascio con una preghiera. Se leggete questa mia e voi siete chi credo, vi dico grazie di aver al fin realizzato ciò per cui abbiamo combattuto.
Altrimenti, riponete pure la lettera dove l’avete trovata.
E continuate a lottare…
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