Etnia italiana da tutelare
Storie e Notizie N. 2147
C’era una volta il mondo secondo Francesco Lollobrigida.
C’era una volta altresì una popolazione definita in accordo ai dettami del Ministro dell’Agricoltura, ma non è uno sconfinamento di campo per lui, sia ben chiaro: gli esseri umani vanno coltivati come piante e allevati come bestiame.
Infine, c’era una volta un paese, che poi sarebbe il nostro, attraverso gli occhi del cognato dell’attuale presidente del consiglio, per capirci.
Il mondo, la popolazione, il paese, dove esiste un’etnia italiana da tutelare.
Perché è a rischio, sai? Lo dicono i dati sulle nascite.
Ma nella visione delle cose dei Lollobrigida di questa terra non è la razza il problema. La novità è che per loro il razzismo è diventato una questione semantica e citano perfino la Treccani, ora.
Di conseguenza, nella nazione ideale per i parenti, i camerati, affiliati o servitori del premier nostrano, a disturbare la patriottica equazione ci sono loro, le variabili sbagliate, come in parte sono stato a mia volta e probabilmente sono ancora.
Molte sono famiglie tradizionali, se volete, ma al contempo irrazionali secondo la logica tutelante delle canoniche etnie: un papà e una mamma venuti qui da più o meno lontano, ma con dei figli nati in Italia.
“Ahmed, sbrigati, prendi le tue cose e mettile nella borsa” fa l’uomo agitato al bambino all’indomani dell’approvazione del decreto Lollobrigida.
“Perché, papà?”
“Perché è entrata in vigore la legge a tutela dell’etnia italiana” risponde la mamma con le mani occupate dalle maniglie delle medesime valigie con cui era arrivata nel nostro paese.
“Dobbiamo andarcene?”
“In realtà sei tu che dovresti…” si fa scappare il padre.
“Ousmane…”
“Sì, scusa cara.”
“Perché dovrei andarmene? Ho chiesto scusa al mio compagno per avergli dato un pugno quando mi ha detto che sono una scimmia.”
“Non è per quello, tesoro” fa la madre. Quindi i due genitori si scambiano un’occhiata e capiscono che il bambino merita di sapere la verità.
“Vedi, Ahmed, secondo il nuovo governo l’etnia italiana va protetta, ma non c’entra la razza, però.”
“E cos'è che c’entra allora?”
“La cultura, per esempio.”
“La cultura? Papà, ma io frequento una scuola italiana, mica araba. Studio le stesse materie degli altri e sono pure bravo. È sulla condotta che…”
“Sì, lo sappiamo che sei bravo, Ahmed…” gli riconosce la mamma, “ma la legge è a difesa dell’appartenenza alla nazione, ecco.”
“L’Italia, dici? E a quale altra nazione appartengo? In Africa non ci sono mai stato…”
“Sì, hai ragione” ammette il padre. “Ma il governo ha a cuore il ceppo linguistico, capisci?”
“Che?”
“La lingua italiana.”
“Stai scherzando, papà? Ti sei ti dimenticato di quando vi traducevo i documenti da firmare? E facevo la seconda elementare, mica la quinta…”
“In effetti è così, caro…” osserva la mamma la quale inizia a essere perplessa anche lei. “Che ne pensi, Ousmane?”
“Calma, amore” esclama l’uomo come se trovasse difficoltà a smettere di credere di essere dalla parte del torto. “Nella legge si parla anche di protezione del nostro modo di vivere.”
“Nostro di chi?” chiede Ahmed.
“Di noi… cioè di loro, ecco.”
“Loro chi, papà?”
“L’etnia italiana, figliolo.”
“Come i miei compagni di classe?”
“Be’, sì.”
“Papà… ma io faccio le stesse cose che fanno loro. Andiamo a scuola insieme, giochiamo con lo stesso pallone e con gli stessi videogiochi, leggiamo gli stessi fumetti e guardiamo gli stessi film in tv, mangiamo le stesse cose…”
“Non sempre. Noi mangiamo anche le nostre.”
“Ma pure loro lo fanno, papà. Sono stato nelle case dei miei compagni e non ho visto tanto di diverso. Viviamo tutti allo stesso modo perché siamo vicini. È per questo che si dice vicini di casa, no? Ecco, siamo vicini di vita, tutti quanti noi.”
La mamma ha ormai posato le valigie sul pavimento e l’uomo entra definitivamente nella camera del bambino per sedersi sul suo letto.
“Ousmane, mi sa che Ahmed non ha tutti i torti, sai?”
“Già” osserva l’uomo sempre più confuso.
All’improvviso Ahmed si alza in piedi di scatto come in preda a un’illuminazione, si mette di fronte allo specchio a figura intera sulla parete opposta e fissando i genitori riflessi alle sue spalle esclama: “Papà, mamma, ma non è che tutto questo è solo perché sono nero?”
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