Carriere alias a scuola: mettersi nei panni di
Storie e Notizie N. 2172
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Mettersi nei panni di.
Questo è il gioco, l’unico che funziona, il solo con cui vinciamo tutti, forse, dipende. Perché ci vuole tanto impegno e pazienza, ma non v’è altro sul tavolo che ci divide o ci unisce. E anche questo dipende.
Da noi.
Pure nel teatro, quello che nel tempo ho studiato, in seguito portato in scena o semplicemente ammirato espresso dai ragazzi con vari disagi con cui lavoro da trent’anni, il gioco è lo stesso: mettersi nei panni di.
Per capire l’altro e di conseguenza se stessi.
In generale, il necessario meccanismo è inevitabile in una miriade di ambiti, la maggior parte dei quali ha in comune a mio modesto parere ciò che almeno sulla carta presentano come priorità assoluta: gli esseri umani, categoria che comincia dal prossimo, il primo a portata di coscienza, se non di sguardo, mentre l’istante in cui si giunge a se stessi è solo per comprendere appieno il tutto e poter sperare di prendere la decisione migliore.
In una sola frase, mettendosi nei panni di.
Ora, tale ineludibile approccio, se non mera successione di atti concreti, non dovrebbe essere alla base finanche dei compiti che si sono assunti coloro che sono stati incaricati da noi tutti come amministratori della cosa pubblica, ovvero di nuovo noi tutti e quel che ci riguarda?
Poi però do un’occhiata, come faccio ormai da anni, a quel che raccontano i giornali e leggo notizie che non riesco proprio a ignorare. A tal proposito, pare che un consigliere regionale di nome Pietro Macconi, membro del partito di governo nostrano, e in tali vesti rappresentante delle idee politiche e del modo di applicarle di Giorgia Meloni e dell’intera maggioranza, abbia inviato la seguente email alle scuole della Lombardia: alla cortese attenzione, ecc., ritenendo di fare cosa gradita e per conoscenza, si trasmette in allegato la nota in oggetto. La richiesta al Ministero è di intervenire in ragione del contrasto alla diffusione della carriera alias nelle scuole, che desta giusta preoccupazione nelle famiglie, attesa l’innaturale ideologia volta alla fluidità di genere. Ringraziando per l’attenzione e rimanendo a disposizione per ogni possibile approfondimento ed eventuale confronto, si porgono cordiali saluti, e firma.
Per la cronaca, l’espressione “carriera alias” definisce un protocollo attraverso il quale una persona transgender che non si riconosca nel genere assegnato alla nascita ha la possibilità di utilizzare in uno specifico ambito, in questo caso la scuola, il nome scelto in un secondo momento.
Al di là della definizione in sé, nel mio piccolo ne ho già fatta esperienza non dal punto di vista semantico o giuridico, ma semplicemente umano, anche se all’interno di un contesto lavorativo. O, meglio, educativo. Per farla breve di tanto in tanto tra i ragazzi di cui sopra con cui lavoro come animatore teatrale capita qualcuno che malgrado ciò che c’è scritto sul documento, desidera essere chiamato in un altro modo, spesso in base alla propria rivendicata identità di genere. Ebbene, a parte le veniali difficoltà iniziali nel superare quelli che sono solo convenzionali retaggi culturali di una persona della mia età - che non dovrebbero mai dimostrarsi più importanti di chi ho davanti o addirittura mi è stato affidato – si capisce facilmente che riconoscerne i diritti a partire dalla scelta del nome è nell’essenza del doveroso processo di comprensione del prossimo alla base dell’incontro reciproco.
In parole povere, di nuovo, mettersi nei panni di.
Nondimeno, voglio essere coerente fino in fondo con tale assunto e ci provo. Vorrei mettermi nei panni del suddetto consigliere, mal consigliato da se stesso a mio umile avviso. Perché il nostro dichiara di sperare di “fare cosa gradita”… ma a chi? Al destinatario della sua missiva o a qualcun altro, magari più in alto? E se poi si ottiene il risultato opposto perché il messaggio non era fatto per essere diffuso? Per non parlare poi di ciò che desterebbe “giusta preoccupazione nelle famiglie”, aggiunge. Anche riguardo a ciò parlo per decennale esperienza diretta: le apprensioni, le ansie e gli affanni dei genitori di coloro che sono costretti ad affrontare una società intera, la quale fatica a riconoscerli per ciò che sono o sentono di essere – senza alcuna soluzione di continuità dall’unico punto di vista che conti, quello umano – sono un peso enorme da portare sulle spalle per chiunque. E farsene carico per alleviarlo, addirittura per il bene della collettività, è una responsabilità che richiede più di ogni altra cosa una qualità obbligatoria, se non almeno lo sforzo in tal senso.
Quello di mettersi nei panni degli altri e poi, solo in quel caso, parlare e scrivere email...