Storia di teschi genocidi e memorie coloniali ritrovate

Storie e Notizie N. 2173

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Lo scorso martedì i responsabili del Museo di Preistoria e Protostoria di Berlino, in seguito a un lavoro di ricerca che ha visto la luce 6 anni fa, dopo aver esaminato 1.100 teschi umani provenienti dall’Africa hanno annunciato di essere riusciti a identificare il DNA di almeno 8 di essi e di aver individuato in un secondo momento i discendenti attualmente in vita.
Quella che segue è una storia di teschi rubati o semplicemente ricordati.
Di tombe profanate dopo aver fatto lo stesso con la terra e i suoi abitanti.
E di quella scienza che ha ignobilmente contribuito al crimine chiamato colonialismo, giustificandolo, sostenendolo e addirittura traendone profitto per ricevere elogi e riconoscimenti per le proprie presunte scoperte.
Il primo teschio, per esteso e dovuto rispetto, è quello di Mangi Meli Kiusa bin Rindi Makindara, in breve Mangi Meli, re a casa propria fino a invasione contraria, il sovrano che alla fine dell’800 regnava nella città di Moshi sui Chaga, gruppo etnico bantu originario della regione del Kilimanjaro, in Tanzania.
Si dice che fosse un uomo ambizioso, Mangi Meli, intelligente ed esuberante, ma anche impulsivo. Aggiungerei pure spietato e senza scrupoli, allorché per ottenere il trono assieme al braccio destro della madre – seconda moglie del padre sovrano – si impegnò ad avvelenare e a strangolare a morte il rivale Kirita, il figlio della prima consorte del re.
Fu quindi con il sangue e l’omicidio che nel 1891 fu posta la prima pietra del suo regno, come spesso è accaduto nella Storia che ci ha preceduto, quando il nostro aveva 25 anni.
Nondimeno, come se ci trovassimo in una delle tragedie di Shakespeare, appena un anno dopo con pari barbarie fu lo stesso Mangi Meli a venire ferocemente sconfitto, nel suo caso in battaglia.
L’impero tedesco era ora il nuovo nemico, un avversario più potente, con armi superiori e ben più soldati da mettere in campo.
Prima di essere ucciso tramite impiccagione, sembra che il nostro intonò una canzone. Eccone uno stralcio:
È giunto il momento di lasciare
Il vitello va da sua madre
È giunto il momento
Per il grande uomo
Oh, per quello davvero grande
Di ritornare ancora una volta
.
Il secondo teschio è quello di un consigliere di Mangi Meli. Di uno dei condannati a morte che per volontà degli invasori tedeschi furono riuniti assieme al sovrano sconfitto tutti sotto lo stesso albero. Ovvero, uno dei resti la cui storia genetica è stata decifrata in questi giorni nella stessa nazione da cui i crudeli nemici di allora sono partiti per esportare disumana violenza e sfrenata avidità. Resti che sono stati impunemente trafugati tra le tombe della cosiddetta Africa coloniale tedesca, corrispondente ai territori della Tanzania stessa, allora chiamata Tanganica, del Burundi e del Ruanda. Ma anche della Namibia, tra i cimiteri che ospitavano le vittime del Genocidio degli Herero e dei Namaqua, sempre per opera dei tedeschi, definito il primo del XX secolo.
Il terzo teschio di cui vorrei parlarvi è quello che va inserito nella Storia ricostruita con la coscienza di poi, più che il senno. E non chiamatela cultura della cancellazione, perché di rimosso qui ci si sono solo i morti, a milioni, e i loro assassini. Ma qualcuno sta provvedendo a rimediare, per fortuna. A ogni modo, il cranio in questione è quello del medico, antropologo, esploratore, archeologo ed etnografo austriaco Felix Ritter von Luschan, il direttore del museo che all’inizio del ‘900 richiese il vergognoso saccheggio di ossa e umana memoria altrui. Forse dovremmo cominciare ad analizzare questo tipo di teschi, invece di quelli della povera gente umiliata in vita e anche dopo, ma giammai per classificare il genere umano, bensì identificare con precisione coloro che tale sottovalutato aggettivo lo valgono unicamente sulla carta.
Il quarto e ultimo teschio a cui vorrei dedicare questo breve racconto è quello del discendente che verrà interpellato e messo al corrente del ritrovamento di parte della sua storia violentata.
Un cranio che, a differenza dei precedenti, contiene vita e memoria attuale, che grazie al lodevole quanto doveroso sforzo di restituzione da parte dei pronipoti dei colonizzatori di ieri, avrà la possibilità di mettere ulteriormente a posto i conti con il passato.
Beato quel popolo di discendenti – da una parte o dall’altra degli schieramenti - che si impegna e talvolta riesce a far pace con ciò che è stato.

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