Protesta agricoltori Italia: siamo stufi di essere schiavi...
Storie e Notizie N. 2223
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C’erano una volta le proteste degli agricoltori che infiammano l’Europa e ora anche il nostro paese.
“Siamo stufi di essere schiavi”, urlano i contadini facendo rombare in questi giorni le proprie voci e quelle dei loro trattori.
“Bene, era ora”, fa Jerry ovunque egli sia, il cui grido echeggia nelle nostre orecchie e coscienze, o almeno dovrebbe farlo, da almeno 35 anni.
“La gente è con noi, non ci fermiamo”, esclamano altri. Come sarebbe piaciuto poter affermare lo stesso alla povera Paola.
“Non ce ne andremo finché non verremo ascoltati”, dichiarano con veemenza nel pisano. “Così si fa”, concorda Ana, “qualora si possieda ancora la fortuna di avere fiato in corpo per farsi ascoltare”, aggiunge inevitabilmente.
“Ci sentiamo soli e non tutelati”, si sfogano a Brindisi.
“Come vi capisco, ovvero vi capivo”, osserva amaramente Hyso.
“Stavolta non ci fermiamo finché non saltano delle teste”, strillano minacciosi taluni.
“Quando ci vuole ci vuole”, non può che essere d’accordo Omar, soprattutto quando è in gioco, o meglio era, la tua stessa vita.
“State uccidendo l’agricoltura italiana”, ricordano altri ancora.
“E non solo quella”, commenta Yassine con mesto disincanto.
Nel mentre sfilano i cartelli con i soliti slogan preparati alla bisogna.
“Coltiviamo futuro, non speranza”, recita uno di essi.
“È esattamente ciò che facevo”, rivendica prontamente Adnan.
“No agricoltura, no cibo, no futuro”, c’è scritto su un altro.
“Neanche presente, non più”, lamenta con tristezza Fodie e probabilmente anche rabbia.
“Lottiamo per tutti, se falliremo non ci sarà futuro”, dice un terzo cartello, insistendo sul tema del domani.
“Beato te che ne hai ancora uno”, potrebbe facilmente commentare Andrea.
“Incolti sarete voi, non la mia terra”, è il più gettonato.
“Fortunati voi che avete potuto e potete ancora definirla tale”, mormora Muhammad da lassù, laggiù, ovunque sia rimasto nei ricordi di qualcuno.
“Perché gli agricoltori sono allo stremo…” sintetizza la spiegazione di uno dei rivoltosi scesi in strada.
“Già”, fa Arcangelo. “Era esattamente così che mi sentivo prima di esalare l’ultimo respiro.”
C’erano una volta, davvero, tutti coloro che tra centinaia di migliaia di lavoratori dei campi sfruttati e maltrattati sono stati uccisi o sono morti di stenti. Persone migranti o meno, ma anche italiani di nascita o per semplice vocazione.
Almeno un quarto della forza lavoro nell’agricoltura di questo paese, vittima del caporalato da parte delle mafie e dei proprietari terrieri, alcuni dei quali sono sicuramente anche loro in questo momento a far sentire le proprie tonanti richieste e rimostranze a un governo, che come molti di quelli che l’hanno preceduto, sa bene chi va ascoltato, e in parte o del tutto accontentato, e chi nascosto e dimenticato sotto quella stessa terra dei cui frutti oggi si ricorda il lavoro, il sudore, il sangue, la fatica.
E la propria stessa vita.
Ma la parte onesta di chi sta bloccando strade e piazze, o l’ha già fatto, è anche in nome di quei disgraziati di invisibili, oltre ai loro altrettanto trascurabili figli, che sta protestando, vero?