Tutte le colpe di Ilaria Salis

Storie e Notizie N. 2234

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C’erano una volta i processi. Quelli in tribunale, hai presente? Di cui sentivi parlare al telegiornale o ne leggevi i vari passaggi fino all’esito finale, la più o meno indiscutibile sentenza, al netto dei vari gradi di giudizio.
Ma non sono mai stati gli unici, no? Anche allora e più che mai dall’avvento di internet e soprattutto dall’infestazione di quest’ultima da parte dei social network e dei portavoce di partiti e gruppi di potere travestiti da organi di stampa, c’è un’altra aula di pseudo giustizia dove si processano le persone che in qualche modo abbiano violato le regole stabilite.
Stabilite da chi, è semplice intuirlo. Basta guardarsi alle spalle ed essenzialmente in alto per capire chi trattenga strette fra le mani le potenziali ali di libertà con cui in teoria ciascuno di noi dovrebbe poter andare dove gli pare con il corpo, o anche solo con la parola e la penna.
Su quali siano le leggi più o meno tacite, ti accorgi – o meglio ti ricordi – della loro presenza quando le infrangi. O forse dovrei dire allorché ti ritrovi con le catene ai polsi durante l’ennesima pubblica gogna.
A tal proposito, parliamo quindi di Ilaria Salis.
La triste vicenda che l’ha resa nota ai più ha inizio l’11 febbraio del 2023 quando la nostra fu arrestata in Ungheria. Ma la vera ribalta l’ha ottenuta a causa delle vergognose immagini che l’hanno vista sfilare incatenata il 29 gennaio di quest’anno in occasione dell’inizio del processo che la vede imputata.
Un processo del primo tipo, per intenderci, nel quale ha rinunciato al patteggiamento dichiarandosi innocente, e che a oggi, 5 aprile del 2024, non è ancora terminato. Il che vuol dire che nessuno dovrebbe a questo punto, ancor meno prima di oggi, emettere alcun tipo di sentenza sulla sua colpevolezza.
Poi però c’è l’altro processo e dai, su, lo sappiamo tutti che oramai è quello che conti di più. Perché il giurato, l’accusa e perfino il giudice, li puoi fare da casa. In poltrona, sbracato sul divano o disteso nel letto sotto le coperte. Puoi restare in vestaglia, in pigiama o perfino in mutande. Ma è una specie di processo democratico anche questo, sai? Perché possono partecipare tutti, a prescindere dal ruolo, dall’identità di genere, mo’ ci vuole, dalla professione e dall’appartenenza politica o ideologica. Non serve una laurea in giurisprudenza, neppure una conoscenza minima dei vari codici giuridici e neanche essere sufficientemente informati sull’accaduto. Ti svegli al mattino e dici la tua. Il che vuol dire pollice su o in basso a seconda di come ti giri quel giorno. O, magari, anche a seconda di quali siano i tuoi interessi.
Se poi ricopri una importante carica di governo, ecco che dove questi ultimi convergono si capiscono perfettamente quali siano quelle leggi non scritte di cui sopra, la cui violazione ti mette nei casini.
Da ciò, seguono le colpe di Ilaria Salis: in ordine sparso, la prima è quella di essere antifascista. Poi, quella di andare a rompere le scatole proprio a uno dei governi più scomodi tra quelli amici del nostro. Quindi la colpa di essere una donna, già, la quale – nonostante la presenza di “una” premier dalle nostre parti – nel pensiero comune della maggioranza dei leader dell’esecutivo in vigore, in quanto tale se ne sarebbe dovuta restare a casa, preferibilmente in cucina o al massimo a letto, con tutte le volgari allusioni del caso. Come non citare anche la colpa più paradossale, ovvero quella di essersi dichiarata innocente. E poi la colpa di aver fatto presente al mondo le barbare condizioni incivili in cui vengono tenuti i prigionieri nel Paese del governo amico del nostro. La colpa di avere un padre che si comporta come un padre dovrebbe, denunciando ovunque e con chiunque l’indegno trattamento che sta subendo impunemente sua figlia.


Potrei andare avanti, ma aggiungo infine la colpa di essere italiana, esatto, andando a disturbare un luogo comune secondo il quale ci facciamo i fatti nostri e ci pensiamo bene a mettere a rischio la nostra incolumità per un ideale più alto dei meri interessi nazionali o in generale campanilistici. Be’, guarda un po’, tale sovvertimento di codesta datata narrazione sta accadendo sempre più spesso e ciò dovrebbe far riflettere, credo.
In ogni caso, questo processo il suo giudizio l’ha già emesso. L’avrebbe fatto venendo a conoscenza anche solo della primissima delle colpe fin qui elencate.
Ma riguardo all’altro tipo, la versione canonica, e alla presunta imparzialità di coloro che dovranno valutare le prove ed emettere una giusta sentenza, dovrebbe altrettanto far riflettere il fatto che per il governo di Orban, per bocca del portavoce di quest’ultimo tale Zoltan Kovacs, l’imputata è colpevole ancora prima di essere processata. Perché – cito testualmente, sono parole di oggi – questo dicono i fatti.
Inoltre, secondo quest’ultimo, da un esito o l’altro dipende la reputazione e l’integrità della magistratura ungherese, oltre che del governo stesso.
Nonché quella di tutti, ma proprio tutti, i suoi amici.

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