La fatica di credere
Storie e Notizie N. 2244
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C’erano una volta un mucchio di cose di cui si parla come se fossero ancora nel bel mezzo del discorso, ma non è più così da tempo.
Ad esempio, c’era una volta il diritto di voto come conquista e, giustappunto, sacrosanto diritto.
C’erano una volta la destra e la sinistra senza alcuna ombra di dubbio di dove si trovasse l’una e l’altra. Perché nonostante le barzellette e i vaffa di qualche comico travestito da leader, ci sono eccome là fuori: è solo che si fa fatica a credere. A ciò che si legge, a quel che si ascolta e perfino a cosa si vede.
C’erano una volta addirittura il centro, il punto medio e la moderazione a ogni costo, ma poi, attualizzando il motto, a mali estremi... estremisti rimedi, e assieme alle mezze stagioni abbiamo perso ogni tipo di possibile congiuntura, figuriamoci quelle parallele.
Oggi a definire il cammino di intere nazioni è come premesso la fatica del cammino stesso. Quella preventivata o solo temuta, quella già sperimentata e quella solo sovrastimata.
A riprova di quanto racconto, vi è l’ennesima sentenza all’indomani dell’ultima tornata elettorale, quella europea. Perché a vincere le elezioni è un partito o movimento che sulla carta non esiste: quello di chi non va a votare. Eppure, è gente che c’è eccome e che vive accanto a noi. Allargando la questione all’intero vecchio continente stiamo parlando della metà dei potenziali elettori, ovvero 175 milioni di persone.
Ovunque costoro dovrebbero essere l’argomento principale, sono del tutto assenti come se non esistessero. Come se abitassero sul lato oscuro di una luna chiamata guarda caso proprio Europa, ma non è neppure azzeccato come paragone, giacché la presunta verità e quella taciuta sui popoli di questa parte del mondo vivono mescolate l’una con l’altra, ma si cerca di ignorarlo. E ciò accade anche nel resto dal mondo, forse da molto più tempo.
Nel mentre, i partiti di estrema destra ne escono rafforzati e in tanti, giustamente, ne sono preoccupati. Ma, davvero, non sono qui per intensificare a mia volta il coro che si limita a mettere orientamenti e schieramenti gli uni di fronte agli altri.
Sono qui per la storia che ho sempre avuto maggiormente a cuore.
Quella delle persone, tutte, soprattutto quelle ritenute invisibili.
Si dice che chi scrive dovrebbe parlare di ciò che sa.
Be’, chi mi conosce intimamente sa che invisibile lo sono stato e probabilmente in parte lo sono ancora senza che me ne renda conto.
E quando sei fantasma tra i vivi, allorché ti chiedono di credere in qualcosa fai un’enorme fatica a fidarti.
Fai una fatica del diavolo a seguire chi ti inviti a sperare in un domani migliore.
E, soprattutto, trovi immensamente faticosa l’idea di percorrere il sentiero più virtuoso e quindi decisamente più lungo.
Al contempo, la strada per il fasullo mondo al contrario che nessuno può millantare di essersi inventato addirittura oggi, è breve e senza sforzi.
Non ci vuole nulla a odiare e discriminare chiunque non corrisponda esattamente all’identikit di coloro che fanno al caso nostro, punto.
Non occorre tempo e men che meno alcuna riflessione la scelta che ci porta a soddisfare i nostri bisogni qui e ora. A discapito di tutti e tutto, compreso il domani.
Mentre invece è un clamoroso eufemismo dire che è faticoso credere che stavolta quelle persone, quelle parole, quell’idea, saranno diverse da tutto ciò che c’è stato prima, allorché in precedenza quest’ultimo ti ha deluso puntualmente a ogni occasione.
Tuttavia, l’impegno più gravoso, e al contempo la sfida maggiormente urgente, è quella di alzarsi dalla poltrona non solo per andare a votare o a manifestare, ma per andare lì dove nascono e crescono le fatiche fin qui elencate giammai per ottenere fiducia e ascolto.
Perché le genti cancellate dalla Storia, da che mondo è mondo, desiderano una sola cosa: che sia tu a vederle e che sia tu per primo a credere in loro.