Se muore un lago è come se morisse l'anima di un popolo

Storie e Notizie N. 2252

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C’era una volta un lago.
Mentre il ciclone Boris sta flagellando anche il nostro Paese dopo aver colpito parte dell’Europa, come se per alcuni entrambe le vicende non fossero in alcun modo collegate, ripeto, c’era una volta un lago in Bolivia, dal nome bizzarro qualora udito dalle nostre parti: Uru Uru.
C’era una volta tale lago per davvero, quando questa meraviglia posta sugli altipiani della Bolivia a più di tremila metri era vasta almeno duecento chilometri quadrati.
All’epoca del suo maggior splendore, nel secolo scorso, ospitava una quantità enorme di pesci e la presenza di ben settantasei specie di uccelli.
Tutto ciò era fonte di vita per migliaia di persone e l’acqua era così pulita da poter essere addirittura bevuta.
Oggi, tutto è cambiato, ma ci arrivo. Vi chiedo solo di fermarvi un istante, di chiudere gli occhi e di figurarvi nella mente tale straordinario dono gratuitamente offerto da madre Terra. Se preferite, lasciate che la musica o anche solo il silenzio vi aiuti a visualizzare tale naturale miracolo.

Non so cosa abbiate visto e sono curioso. Io ho immaginato qualcosa di banale, lo ammetto. Una sorta di creatura di quelle celestiali che magicamente si accinga a sfamare e dissetare chiunque le si avvicini con rispetto e gentilezza. Il che sarebbe il minimo, credo.


A distanza di decenni, mentre il clima impazzisce sempre più anche dalle nostre parti - e ciò viene narrato come se fosse un normale disturbo di un maltempo ormai facile colpevole di ogni misfatto -, a causa della siccità e soprattutto dello sversamento dei rifiuti urbani e delle scorie delle industrie minerarie, l’ampiezza del lago si è ridotta a circa 30 chilometri quadrati e la presenza di pesci e uccelli è stata a dir poco decimata.
L’inquinamento in particolare ha iniziato letteralmente a uccidere un po’ alla volta la fantastica e generosa creatura di cui sopra.
Nondimeno, incredibile a dirsi, c’è ancora tempo per rimediare.
Un tempo che forse in molti non meritano, ma alcuni sì e lo dimostrano con i fatti, più che con le parole.
Mi riferisco a un gruppo di 50 indigeni, soprattutto donne, che non a caso si sono chiamati Uru Uru Team.
Se muore un lago è come se morisse l'anima di un popolo”, ha dichiarato di recente una di loro. Di conseguenza, quest’ultima e il resto della squadra stanno facendo del loro meglio per aiutare il lago a tornare quello di un tempo.
Ma la vera buona notizia, a mio modesto parere, è come lo stanno facendo.
Hanno usato le armi migliori per chi desideri rimediare allo scempio ai danni del nostro pianeta: profonda conoscenza di quest’ultimo e memoria delle tradizioni popolari e indigene.
Si sono semplicemente ricordati di come facevano i loro antenati per purificare l’acqua. Ovvero, piantando la Totora, una pianta acquatica che come il lago di cui sopra rappresenta un ulteriore eccezionale regalo a vantaggio di chi dimostri l’intelligenza di saperlo cogliere. Difatti, tale pianta è straordinaria per il trattamento delle acque reflue fognarie e minerarie, poiché intrappola i minerali nelle sue radici, foglie e steli.
Ebbene, a oggi ne hanno piantate ben tremila e col tempo l’inquinamento si è ridotto del 30%, mentre gli uccelli e gli altri animali hanno cominciato a tornare.
Il problema è che “hanno dimenticato da dove vengono e che non siamo superiori agli animali e alle piante, alle montagne, ai laghi e ai fiumi”, dicono le donne e gli uomini dell’Uru Uru Team riferendosi ai responsabili dell’inquinamento del lago. ”È a causa di questa mancanza di rispetto e cura per la natura che c'è uno squilibrio.”
Be’, notizia meravigliosa, è la stessa natura a offrirci le soluzioni per rimettere le cose a posto.
Cosa stiamo aspettando?

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