Uccidere squali o vivere con loro: la storia di Michel
Storie e Notizie N. 2253
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Ebbene sì, anche questa è una storia vera e non è ancora finita, per mia fortuna.
Mi chiamo Michel, vivo in un piccolo villaggio di pescatori sulla costa sud-occidentale del Madagascar e un tempo ero un assassino.
Non un killer di quelli dei film, perché non uccidevo esseri umani, ma spegnevo vita e dal punto di vista della natura non vi è molta differenza.
La prima volta che mi sono trovato faccia a faccia con uno squalo era morto.
Avevo 18 anni e avevo iniziato a pescare a 16.
Pescatori è quello che siamo, ci serve per sopravvivere.
Questo è ciò che ci viene insegnato fin da piccoli.
Questo è quello che siamo.
Se ci pensate, è ciò che accade a ciascuno di noi ovunque e in ogni epoca sin dalla nascita.
Ma tutti noi non siamo solo quel che ci viene detto finché non lo scopriamo.
A 18 anni ho catturato assieme ai miei compagni il mio primo squalo, come detto già morto.
Ho rischiato di morire anch’io, per farlo. Eravamo a 15 km dalla costa, con il mare in burrasca a cercare di derubarlo della carcassa di un esemplare di 400 kg e lungo 4 metri, poco meno della nostra barchetta a vela, senza cellulari, radio e motore.
Ho temuto davvero che fosse finita non appena passò l’euforia dall’aver issato a bordo l’enorme animale, perché la barca sembrava che stesse affondando a causa del peso in eccesso.
Tornare a casa, sani e salvi, è stata un’impresa, ma dalla vendita dello squalo guadagnai più di 100 euro.
Ho visto i soldi, li ho contati e non ho visto più nulla oltre ai cadaveri dei 50 squali al giorno che ho ammazzato per ben 5 anni.
Poi, un bel mattino, la fortuna come detto all’inizio ha voluto farmi un favore. O, forse, è stato più semplicemente mio fratello.
Lui non è come me.
O meglio, non era.
Aveva soltanto capito che poteva essere altro fin dall’inizio.
In breve, ha fatto una scelta.
Quella di non uccidere, bensì di raccontare.
Che vuol dire prima annotare e filmare.
Per poi testimoniare e diffondere ciò che accade là fuori, in mare, dove gli squali e tutti gli animali hanno il loro essenziale compito.
Si chiama ecosistema, si chiama equilibrio, si chiama armonia, si chiama natura e ne facciamo parte anche noi, così come – a differenza di tutte le altre specie - abbiamo facoltà di decidere quale personaggio interpretare in questa storia.
Magari comprendendo che la sopravvivenza degli squali paradossalmente permetterebbe a tutto il nostro villaggio di vivere di pesca in modo ugualmente soddisfacente. Mentre invece lo sterminio di quei meravigliosi giganti dell’oceano non fa altro che arricchire le grandi navi straniere che li vendono a pezzi in tutto il mondo.
Mi chiamo Michel, vivo in un villaggio di pescatori sulla costa sud-occidentale del Madagascar.
Un tempo ero un assassino e rischiavo la mia vita per sangue e soldi.
Ora, forse corro altrettanti rischi per documentare e fermare la strage degli squali. E ogni volta che mi trovo in mezzo a loro e li osservo vivi e liberi vorrei restare anch’io in quell’acqua.
Vivo e libero.
Per sempre.