Cittadinanza per Carlos

Storie e Notizie N. 2284

C’era una volta la Cittadinanza.
Potrei dedicare l’incipit alla sua definizione, e di conseguenza alla paradossale miriade di contraddizioni che da sempre si annida tra le parole e le azioni della maggior parte di coloro che ne fanno incessantemente cavallo di battaglia con cui accaparrarsi voti e sostegno da parte del popolo della paura.
Perché vi si legge che il cittadino appartiene allo Stato, mica il contrario, e che analogamente vige altrettanta appartenenza alla comunità politica istituzionalizzata. Il che vuol dire che hai degli obblighi verso quest’ultima, soprattutto qualora ricopri una sua alta carica.
Invece di far ciò, vorrei come al solito raccontare una semplice quanto emblematica storia.
Una storia vera.
C’era una volta quindi un nome di fantasia per ovvie ragioni. Diciamo Carlos.
Carlos è un giovane di vent’anni.
È nato in Ecuador nel 2005 e a otto anni è arrivato in Italia. Si legga pure come la Terra delle contraddittorietà, più che delle opportunità. Dove - la prima che mi viene in mente - si paventa e millanta una presunta invasione africana intenzionata a occupare e rubare, quando nella realtà dei fatti è almeno dalla fine del 1800 che questo controverso Paese ha iniziato a macchiarsi di tale crimine ai danni della terra dei miei avi.
A ogni modo, Carlos è qui fin dalla terza elementare. Frequentando le scuole fino al diploma, per ben dodici anni ha studiato e imparato l’Italiano e la nostra Storia. Ha perfino frequentato l’ora di religione. Daje, non è musulmano, coraggio, sospiro di sollievo almeno per questo.
Ha fatto i suoi bravi compiti come molti di noi. Anzi, diciamo pure come molti di noi avrebbero dovuto, considerando gli strafalcioni pronunciati costantemente dai nostri governanti.
Più di ogni altra cosa, ha vissuto in Italia da italiano accanto ai suoi amici italiani nati con la camicia bianca, rossa e verde, condividendo le medesime esperienze e sensazioni, aspirazioni e pure sogni, certo.
Ciò malgrado, una volta terminato il corso di studi obbligatorio, ovvero raggiunta la maggiore età, ha comunque sperimentato la sentenza che già attendeva: non sei un cittadino come i tuoi compagni di scuola. Non puoi avere quella preziosa autenticazione cartacea e men che meno elettronica.
“Sai perché, Carlos?” Sembra avergli domandato la voce dello Stato che ci ospita e a cui alcuni appartengono indegnamente. “Perché i dodici anni qui trascorsi non sono stati consecutivi.”
“Ebbene sì. È vero, vostro onore...” potrebbe aver risposto il nostro, come se fosse un imputato, anche se non lo è, eppure è così che viene trattato.
La sua colpa? Quella di esser dovuto tornare di tanto in tanto nel suo Paese d’origine. Fatto che risulterebbe del tutto normale, quasi insignificante e perfino doveroso nella vita di un cittadino DOC.
Nel suo caso invece rappresenta il crimine che gli impedisce di godere di tutti i benefici della famigerata cittadinanza, di cui approfitta senza alcuno sforzo la maggior parte dei suoi ex compagni di scuola. Alcuni dei quali, magari, impegnandosi molto meno di lui nel dimostrarsi meritevoli del vantaggio che hanno avuto per puro caso. Perché di questo si tratta quando il mappamondo arresta il suo perenne vorticare e si decide il tuo destino.
Pure solo per Carlos, anche se i casi simili sono tantissimi, al referendum dell’8 e il 9 giugno voterò al quesito sul dimezzamento del requisito di residenza per concedere la cittadinanza ai cittadini stranieri.

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