Storie di animali migratori: la scoperta di Luì

Storie e Notizie N. 1058

Leggo or ora che l’uccellino chiamato Luì di Pallas, ovvero Phylloscopus proregulus (in Inglese Pallas's Leaf Warbler o Pallas's Warbler, uccello canterino scoperto da Peter Simon Pallas), durante la sua migrazione ha cambiato improvvisamente idea e dalla Siberia centrale è volato sino in Abruzzo, presso il laghetto artificiale di Vetoio, vicino L’Aquila, invece che in Cina, dove effettivamente avrebbe dovuto condurlo l’istinto. Viaggiando per 6000 chilometri contromano.
Secondo gli esperti si è trattato di un errore.
Ah, questi esperti, ma perché non chiedono direttamente all’interessato?
E’ pure canterino, cappero.

Cara Lià,
ricordi cosa mi dicesti ad un soffio dalla morte, stretta in quel nero abbraccio?
Non sai volare, queste furono le tue ultime parole.
Quasi, ultime.
L’ultima, davvero l’ultima, fu qualcosa di diverso da una semplice parola.
Qualcosa di più.
Vola.
Ti ho voluto un mondo di bene, nel tempo che ho trascorso con te, insieme, possibilmente lontani da quel sopravvalutato pavimento di erba e roccia chiamato terraferma.
Mai quanto te ne ho voluto dopo, laddove sei divenuta solo un ricordo.
Ovvero, la storia di te.
Con un finale straziante, me ne rendo conto, ma condito con un pizzico di giallo.
Una frase insolita, con un Pi Esse ancora più bizzarro.
Vola.
All’inizio pensai che fossero deliranti fughe di una mente sopraffatta dallo shock.
Tuttavia, i mesi passavano e man mano che le immagini di quell’ultima scena scorrevano ancora, ancora e ancora nella zona replay della mia personale memoria, qualcosa di sensato prendeva forma.
Quella di due ali.
Due ali che volavano, da sole.
Senza un corpo, senza il becco e le zampe.
Solo due ali.
Libere di seguire se stesse.
Folgorato dal dipanarsi dell’enigma che mi lasciasti quale inaspettata eredità mi sono imbattuto nel ramo di un albero e sono caduto in terra.
Lì, con la schiena sul prato, le ali spiegate e gli occhi fissi al frammento di cielo che sopravviveva all’intrigo di foglie ho capito.
Migrare non è volare.
Certo, ci vai in volo da nord a sud di questo pianeta e viceversa, è ancora oggi il modo più veloce e sicuro, più che mai sicuro visto che aria tira là sotto.
Ma volare, affidarsi a loro, fidarsi di loro, credere veramente in loro è tutt’altra cosa.
Le ali che non ho mai avuto.
Le tue.
Perdonami, mia cara, perdonami di averti ripreso con veemenza quando cambiasti rotta all’istante solo per il gusto di tornare indietro, per poi finire in quella maledetta pozza nera.
Solo adesso so chi era il folle e chi l’uccello.
Leggi come colui che vola perché ne ha il dono.
Perché desidera farlo.
Non perché deve.
E perché non avrebbe senso alcuno volare sapendo sempre dove si va.
Sono felice perché mi hai insegnato a volare.
Al contrario.

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