Tibet immolazioni protesta del fuoco

Storie e Notizie N. 872

Il fuoco, sì, il fuoco.
E sono stanco.
Sono molto stanco e immensamente amareggiato.
Tollero tutto, o almeno ci provo.
Conosco i miei limiti, come ogni forza della natura di cui vi servite.
Uno strumento, non sono niente di più. D’altra parte l’ho capito benissimo, sin dal primo istante in cui quel vostro goffo ma simpatico antenato pieno di peli mi teneva sollevato con lo sguardo ebbro di gioia mentre indifferente bruciavo la punta della mazza e al contempo illuminavo la sua grotta.
C’è un limite a tutto, però. Per ogni cosa esiste, è un vincolo fisico, ancor prima che filosofico, per un comprensibile motivo come far luce tanto quanto per una lodevole ragione quale la lotta a difesa dei propri diritti umani.
Mi rivolgo a te, Rinchen, ora, e a tutti i Tibetani della tua età.
Diciassette anni e nessuno un altro in più, ormai, dato che hai deciso di nutrire le mie fiamme per la libertà del tuo paese.
Chi ha a cuore le ragioni della tua protesta deve far di tutto per far sì che il tuo gesto non sia stato vano.
Un gesto incredibilmente forte, che misura la grandezza della sofferenza nel tuo cuore come nella tua mente.
Ma…
Ma sebbene io sia solo uno strumento e nulla più, so bene che la potenza di un mezzo risiede nell’assoluta infinità di modi con i quali può essere utilizzato.
Almeno 20 dei 104 tibetani che dal 2009 si sono immolati finora erano adolescenti.
Gli ultimi due, rispettivamente di 18 e 17 anni.
Sonam Dhargye e tu, Rinchen.
Questa è la mia protesta.
Il fuoco, sì, il fuoco.
Se vedo ancora una volta un ragazzino che osi avvicinarsi a me per bruciare via un’intera vita all’orizzonte giuro sulle mie fiamme che incendio tutto il Tibet.
Ma non solo il Tibet, anche la Cina e poi tutto il resto del mondo che resta a guardare senza muovere un dito.
Pretendo un altro modo per usarmi.
Dev’esserci un altro modo per farsi ascoltare.