Storie di immigrati: il popolo dei diritti per tutti o per nessuno

Storie e Notizie N. 1242

C’era una volta il popolo dei diritti.
Il popolo era formato da tante persone.
Diverse tra loro, malgrado le apparenze.
E fin qui, siamo ancora nella terra delle banalità.
Allora coraggio, sforziamoci di andar via.

Nel popolo formato da tante persone diverse tra loro, malgrado le apparenze, ce n’erano alcune che si dichiaravano a favore dei migranti e della conseguente libera circolazione delle sopravvivenze.
Delle speranze.
E dell’unico futuro possibile, ovvero quello in cui siamo tutti ugualmente ospiti.
Nondimeno, molti di costoro si schieravano al contempo nel lato avverso all’impopolare quanto scomodo abitante dei lager 2.0.
In breve, Rom.
Della serie, io non sono razzista, e pure senza se e senza ma, però sugli zingari

Contemporaneamente, nel medesimo popolo, magari proprio seduti a fianco, vi erano coloro che si ergevano a difesa dei volgarmente suddetti, esclamando con vigore: “Non si dice zingari, è offensivo.”
Tuttavia, senza soluzione di continuità nel cuore, gli stessi si dichiaravano contro ogni alternativa al canonico quanto tranquillizzabile mosaico matrimoniale, additando come vizioso delirio ogni tipo di amplesso ritenuto alieno.
Ovvero, con un lato del viso difendo i diritti dei Rom e con l’altro la cosiddetta famiglia tradizionale.
Cosa facciano con il terzo lato, perché c’è n’è sempre un terzo in tali casi, è meglio non saperlo.

Sul fronte opposto della barricata rispetto a questi ultimi, confusi nel medesimo popolo, c’erano quelli che avevano fatto dell’orgoglio di un’emancipazione di genere una vera e propria bandiera, reale e metaforica.
Ciò malgrado, un battito di ciglia più tardi, li avresti potuti ascoltare in sentiti monologhi al limite del padano contro gli invasori del suolo italico, rei della peggiore congenita colpa: essere nati laggiù e pretendere di vivere qua, invece di morire nel mezzo.
Leggi pure come sono per l’amore libero di giorno e per l’immigrato prigioniero di notte.
O viceversa, a seconda di come mi svegli al mattino.

Nello stesso popolo dissentivano a pochi metri urlando con ardore gli attivisti della cause clandestine, fracassatori di confini e mangiatori di dogane.
Ma tra loro potevi scorgere alcuni che solo un attimo prima mostravano il loro sdegno per le anime ritenute eccentriche, ostinate nel manifestare alla luce del sole gli erotici colori della propria immaginazione.
Traducendo, sono vicino agli immigrati che sognano un domani migliore, ma mi tengo ben lontano dagli ‘uomini sessuali’, le donne che copulano con se stesse e quelli che ‘transitano’, che non ho ancora capito se devo chiamarli al femminile o cos’altro.

Mi fermo qui, anche se potrei aggiungere quelli che scendevano in campo a protezione degli animali maltrattati ma non delle vittime di omofobia e quelli che affilavano i coltelli innanzi agli insensibili verso i diversamente abili per poi rimetterli nel cassetto se il diversamente comprendesse anche l’orientamento sessuale.

C’era una volta un popolo.
Un altro.
Quello formato dal resto delle persone.
Quelle che non sono affatto un popolo.
Sono solo un ammasso di carne saturo d’odio e solitudine.
Che da tempo ha espulso gli ultimi residui d’umanità rimasti.
Ma è forte, ammasso o popolo che sia, è ancora oggi molto forte.
E la sua forza è una sola.
L’ottusa e imperdonabile divisione.
Del popolo dei diritti

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