Le statue coperte a Roma nel paese che nasconde
Storie e Notizie N. 1311
Le statue nude dei musei capitolini a Roma sono state nascoste per non offendere il presidente iraniano e nessuno sa chi abbia dato l’ordine di farlo, nel solito ping pong delle responsabilità.
Ditemi voi se esiste migliore metafora del paradosso nostrano sulla bellezza e tutte le sue varietà…
C’era una volta il paese che nasconde.
Le statue, d'accordo, ma non è di certo un caso.
Meramente nazionale.
Indi per cui, nessuno si senta in diritto di inarcare il petto, rifocillandolo di posticcio orgoglio per poter cogliere l’ennesima occasione di rigettare il solito patriottico refrain.
La coltre di stolti allarmi e anacronistiche follie intessuta è ampia.
Fin troppo ampia.
Altrimenti, non parleremmo del paese che nasconde, bensì del paese che una volta ha nascosto, ma poi ha capito. Per buona sorte di tutti, ha capito. Ed è andato avanti, nel presente, ancora prima che nel futuro.
Il paese che nasconde tiene fede al nome con quotidiana pervicacia.
Nasconde desideri normali di creature meravigliose e sogni meravigliosi di esseri normali con la medesima noncuranza.
Nasconde capitoli interi della propria storia passata, ma non si accontenta e, si premura di conservare le pagine sopravvissute. Giammai per ricordare, bensì con il fine di usarle per tappezzare con inaspettata goffaggine gli orizzonti meno probabili. Ignorando che le anime più indomite è proprio lì che andranno a fissare il loro sguardo.
Nasconde luce, un’infinità di luce, tutta quella che non potrebbe controllare, gestire, approfittandone con la foga di un parassita con la propria personale preda. Perché di essa ne sarebbe solo uno spettatore. E il paese che nasconde non rinuncerebbe mai al palcoscenico principale neanche per i propri figli, figuriamoci la luce.
Nasconde colori eccentrici e forme irriverenti come se fossero orribili mostri. Come se non fossero ciò per cui vale davvero la pena rischiare occhi e passioni.
Nasconde vite, un numero incalcolabile di vite, relegandole in castigo alle spalle di una gigantesca lavagna, vecchia e malandata, piena di polvere e crepe, che potrebbe da un momento all’altro crollare su di loro. E quello sì che sarebbe il più imperdonabile dei futuri.
C’era una volta il paese che nasconde.
Che calmino i destrieri, i baluardi del suolo patrio.
In questo è equo, giacché non si limita alle scandalose statue. Difatti, non evita di trattare con altrettanto insensata vergogna frammenti di memoria e colori, forme e vite. Sogni e desideri, straordinari o semplici che siano.
Ma è anche il più paradossale dei nasconditori della storia.
Perché è il paese che nasconde.
Tutto ciò che è bello.
Oh se lo è…
Leggi anche il racconto della settimana: La diversità spiegata ai bambini
Leggi altre storie sulla diversità
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Le statue nude dei musei capitolini a Roma sono state nascoste per non offendere il presidente iraniano e nessuno sa chi abbia dato l’ordine di farlo, nel solito ping pong delle responsabilità.
Ditemi voi se esiste migliore metafora del paradosso nostrano sulla bellezza e tutte le sue varietà…
C’era una volta il paese che nasconde.
Meramente nazionale.
Indi per cui, nessuno si senta in diritto di inarcare il petto, rifocillandolo di posticcio orgoglio per poter cogliere l’ennesima occasione di rigettare il solito patriottico refrain.
La coltre di stolti allarmi e anacronistiche follie intessuta è ampia.
Fin troppo ampia.
Altrimenti, non parleremmo del paese che nasconde, bensì del paese che una volta ha nascosto, ma poi ha capito. Per buona sorte di tutti, ha capito. Ed è andato avanti, nel presente, ancora prima che nel futuro.
Il paese che nasconde tiene fede al nome con quotidiana pervicacia.
Nasconde desideri normali di creature meravigliose e sogni meravigliosi di esseri normali con la medesima noncuranza.
Nasconde capitoli interi della propria storia passata, ma non si accontenta e, si premura di conservare le pagine sopravvissute. Giammai per ricordare, bensì con il fine di usarle per tappezzare con inaspettata goffaggine gli orizzonti meno probabili. Ignorando che le anime più indomite è proprio lì che andranno a fissare il loro sguardo.
Nasconde luce, un’infinità di luce, tutta quella che non potrebbe controllare, gestire, approfittandone con la foga di un parassita con la propria personale preda. Perché di essa ne sarebbe solo uno spettatore. E il paese che nasconde non rinuncerebbe mai al palcoscenico principale neanche per i propri figli, figuriamoci la luce.
Nasconde colori eccentrici e forme irriverenti come se fossero orribili mostri. Come se non fossero ciò per cui vale davvero la pena rischiare occhi e passioni.
Nasconde vite, un numero incalcolabile di vite, relegandole in castigo alle spalle di una gigantesca lavagna, vecchia e malandata, piena di polvere e crepe, che potrebbe da un momento all’altro crollare su di loro. E quello sì che sarebbe il più imperdonabile dei futuri.
C’era una volta il paese che nasconde.
Che calmino i destrieri, i baluardi del suolo patrio.
In questo è equo, giacché non si limita alle scandalose statue. Difatti, non evita di trattare con altrettanto insensata vergogna frammenti di memoria e colori, forme e vite. Sogni e desideri, straordinari o semplici che siano.
Ma è anche il più paradossale dei nasconditori della storia.
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