Storie di immigrati e muri: l’uomo che temeva se stesso

Storie e Notizie N. 1319

Leggo che secondo i media austriaci anche sul valico del Brennero si sta valutando la possibilità di costruire un ennesimo muro contro i migranti…

C’era una volta un uomo.
Uno tra i tanti.
Che ci sono già stati, sai?
Se ti guardi indietro, ne vedi a miliardi.
Perché sono tanti, perché siamo stati.
Tanti.
L’uomo, come i tanti che ci sono già stati, sai, era torturato giorno e notte da un terrore subdolo, peggio di una serpe in seno. Ovvero, una serpe in seno che si finga invincibile scudo a protezione di quest’ultimo.
L’uomo temeva, come la morte stessa, di essere invaso.
Da se stesso.
Ossessionato a tal punto dalla più paradossale delle paranoie umane, egli chiese consiglio a un tale ancora più folle di lui. O, forse, molto, molto più astuto.
Ho il rimedio per te, amico, disse quest’ultimo. Già, amico. Sono sempre tutti tuoi amici, facci caso, gli sconosciuti che non aspettavano altro di aiutarti con quel tuo problema che ti assilla tanto.
Mura, mura tutto, e non pensarci più. Questo fu il rimedio suggerito. Soluzione semplice e sbrigativa, con parole elementari che potrebbe capire anche un bambino.
Figuriamoci un matto.
Così, l’uomo, che aveva visto per primo nelle mani, nelle proprie stesse mani, l’odiato nemico, fece innalzare un muro di cinta sui polsi. Come dei bracciali di pietra che avvolgevano la via tra le braccia e i palmi e le dita, un confine tra gli arti superiori e la possibilità di afferrare ma anche solo sfiorare, spingere o, al meglio, accarezzare, spesso indicare, talvolta salutare.
Il sonno migliorò, ma la cosa durò poco, perché il più delle volte il delirio è come un’insaziabile droga. Non appena ti illudi di poterlo gestire, ecco che si fa sotto con un’altra, ben più potente maschera.
I piedi, i piedi erano diventati l’invasore, e allora l’uomo, visto che sembrava aver funzionato con i polsi, e di conseguenza con le mani, fece lo stesso con le caviglie, facendole stritolare da mura invalicabili.
Non più corse affannate, quindi, ma neppure camminate prive di senso, fine di ogni balzo, ovvero effimera illusione di ingannare la gravità, fine di qualsiasi movimento assolutamente naturale, da qui a là e magari ritorno.
Il riposo divenne ulteriormente più sereno, oltre che obbligato, vista la recente amputazione, ma durò altrettanto poco, poiché dopo le mani e i piedi la presenza aliena fece sentire la sua immonda voce prima nel mezzo nella pancia e poi nel petto. Come a irridere l’uomo e tutti i suoi vani tentativi di proteggere se stesso.
Da se stesso.
Stanco ma risoluto, il nostro decise di dare un taglio netto alla faida. Non è il momento per mostrarsi teneri, esclamò guardandosi allo specchio dopo una notte insonne, un uomo deve dimostrarsi uomo quando occorre, onore agli eroi, vincere e vinceremo, e altre amenità di questo tipo.
Così, senza ulteriori indugi, fece costruire il più imponente dei muri proprio sul collo. Un collare di roccia impenetrabile, a difesa dell’ultimo baluardo. La preziosa testa, dove conservare intatte tradizioni, storia e cultura a rischio di estinzione.
Stavolta il sollievo, se così possiamo chiamarlo, durò pochi secondi, perché non appena gli posero l’ultimo mattone sul collo, l’uomo iniziò a soffocare.
Cercò invano di intervenire per abbattere il muro, ma non poté far nulla, avendo perso l’uso delle mani. Pensò di scappare per chiedere aiuto, ma gli fu impossibile, avendo rinunciato anche all’uso dei piedi. Si sforzò anche di gridare, ma fu tutto inutile. Non avendo più a disposizione la pancia e il petto, non era più in grado di soffiare aria nella gola e pronunciare parole di ogni tipo.
Tuttavia, subito prima di spirare, l’uomo che non voleva essere invaso da se stesso sorrise.
Perché aveva perso e al contempo aveva vinto.
Perché, una volta per tutte, aveva ucciso.
Se stesso...

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