Storie di immigrati in Italia: Morte di un profugo suicida

Storie e Notizie N. 1426

Pateh Sabally, 22enne originario del Gambia, si è suicidato annegando in Canal Grande a Venezia, dicono i giornali.
Dicono pure che secondo la legge nessuno era obbligato a tuffarsi.
Che quattro salvagenti è il prezzo da pagare.
Per lo spettacolo


Guardalo questo film, anche se l’hai già visto, lo so.
L’abbiamo tutti già visto e siamo di nuovo qui.


Sarà forse che non l’abbiamo capito.
Magari sarebbe andata meglio con i sottotitoli in lingua.
Che colpisce dove il cuore non duole, poiché ormai non batte più.
Proprio così, questa è una storia di morte che sopravvive a se stessa.
Perché, come in una sorta di girone infernale costruito in uno studio televisivo a forma di stivale, c’è qualcuno che ha un disperato bisogno di raccontarla.
E una perversa abitudine ad ascoltarla.
A orecchie e memoria serrate.
Guarda la scena, malgrado sia vecchia, ma sempre di moda.
C’è il mare, nostrum per eccellenza, stavolta.
C’è la nave, i viaggiatori e lui.
Quello che muore alla fine e all’inizio, durante.
E anche prima, nelle riprese.
Forse non è mai stato vivo, sì, dev’esser così.
Altrimenti, come fai a dormire la notte?
Più di ogni altra cosa ci sono loro, gli spettatori, quelli che guardano e commentano, che condividono e scherniscono, che manipolano e che vendono, che comprano e ricomprano, masticano e vomitano tutto, per riprendere dall’inizio il giorno seguente.
Ma scusa, siamo già al momento clou.
Dissolvenza, luce e il capro espiatorio di questa maledetta farsa è ancora una volta lì.
Nel mezzo dell’inquadratura, in acqua, dove gli abiti si fanno troppo pesanti.
Mai come i vuoti non colmati, di speranza nel domani e fiducia nel prossimo.
E quando quel che manca soverchia con prepotenza il resto, capita di lasciarsi andare.
Se solo ci fosse qualcuno, in quell’attimo, dove la perfezione di un gesto come un tuffo nella vita dell’altro, spinto da roba ormai anacronistica come coraggio o semplice affezione per il respiro altrui, rovinerebbe la solita narrazione, questo è certo.
Ma a quel punto, potremmo finalmente uscire da quell’orribile sala.
Che proietta incubi troppo reali per sentirli davvero nostri.
Guarda questa storia, ripensaci più avanti, se ti va.
Ricorda i personaggi, tutti, nessuno si senta altro, ripensa all’uomo che uccide il futuro sotto gli occhi dei fortunati turisti del viaggio chiamato vita e coloro che assistono al dramma dalla comoda differita.
Credimi, puoi cambiare la tua parte, se lo vuoi.
Io sono con te.
Se ti va possiamo ancora stracciare maschere e costumi.
Fare in pezzi questo fasullo teatro di posa.
E magari fare qualcos’altro, domani.


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