Attacco Moschea Quebec City: uno scherzo

Storie e Notizie N. 1431

La scorsa domenica ha avuto luogo un attentato presso la moschea di Quebec City, in Canada, dove sono state uccise sei persone e ferite diciannove.
Nei giorni seguenti è stato arrestato e accusato di omicidio premeditato Alexandre Bissonnette, 27enne studente universitario con simpatie di estrema destra, in particolare per Trump e Marine Le Pen.
Meccanismo ormai scontato per gli attentati diversamente terroristici, in poche ore la notizia è praticamente divenuta minoritaria tra le maggiori, cosiddette fonti di informazione, per non parlare dell’assoluta assenza delle solite manifestazioni social-virtuali di solidarietà con le vittime, tipo siamo tutti canadesi o, addirittura, musulmani.
Tuttavia, in un piccolo giornale di provincia con ambizioni alte, Il Corriere Ambidestro, accade qualcosa di insolito…

“Direttore?” fa il più giovane tra i redattori, ultimo acquisto del quotidiano, free lance e soprattutto free money, ovvero non pensare ai soldi, stare da noi ti
serve da esperienza, così impari come lavorano i professionisti, ecc.
“Chi è?” domanda il comandante in capo, nonché genero dell’editore. Fu lui a dare il nome al giornale, convinto che ne sottolineasse ulteriormente l’orientamento. Nondimeno, solo una volta registrata la testata, si ritrovò a sbattere la versione cranica di quest’ultima contro la parete dell’ufficio, allorché lo informarono che ambidestro non vuol dire affatto con due mani destre.
“Scusi per l’ora, sono Dario…”
“Dario chi?”
“Il nuovo…”
“Chi?”
“Il ragazzino…”
“Che?”
“Quello che porta i caffè.”
“Ah, te. Cosa vuoi? Sono… sono le due del mattino, cavolo…”
“Mi perdoni, direttore, ma è stato lei…”
“Ti ho chiamato io? Non mi sembra.”
“No, dicevo, è stato lei a dire che, cito, i giornalisti ogni tanto si fermano ma le notizie non lo fanno mai.”
“Quando l’ho detto?”
“Stamattina.”
“Dove?”
“Durante la riunione di redazione.”
“Che?”
“Ho capito: quando le ho portato il caffè.”
“Ah, giusto. Be’? Quale sarebbe la notizia?”
“Ecco, più che una notizia, è una rettifica.”
“Cosa? E tu mi svegli in piena notte per comunicarmi una banale rettifica? Sei licenziato.”
“Veramente, non mi ha mai assunto.”
“Come sarebbe a dire? Non lavori da noi? Chi ti ha dato il mio numero?”
“Me l’ha dato lei.”
“Perché?”
“Perché faccio parte della redazione…”
“Chi?”
“Ok, tagliamo corto: perché le ho portato il caffè.”
“Ah, certo, il brufoloso, adesso ti ho messo a fuoco. A ogni modo, visto che è l’ultima volta che ci sentiamo, di quale rettifica si tratta?”
“Ecco, vede, ha presente l’attentato di qualche giorno fa?”
“Che?”
“Quello in Canada…”
“Chi?”
“Chiaro, quello di cui abbiamo parlato al giornale lunedì mattina, quando le ho portato il caffè.”
“Ah, quello. Ebbene?”
“Ebbene, c’è un’autorevole agenzia che ci informa di un errore. Non si tratta di una moschea, bensì di una chiesa.”
Silenzio repentinamente condito da agitazione ed eccitazione.
“Hai detto chiesa?”
“Sì, direttore.”
“Mi stai dicendo che l’attentato in Canada è stato fatto a una chiesa e che i morti sono cristiani?”
“Esatto.”
“Chiama tutti, presto! Tra massimo venti minuti voglio la redazione al completo in ufficio.”
“No, direttore.”
“Come sarebbe a dire no?!”
“Perché è appena arrivata una contro rettifica.”
“Ma… quale?”
“Era una moschea.”
“Una moschea?”
“No, una chiesa.”
“Una chiesa o una moschea, razza di deficiente?”
Il giovane si lascia andare a una risata fragorosa, con un’evidente nota di amarezza.
“Cosa ridi? Sai cos’è questo? Uno scherzo di pessimo gusto.”
“Si sbaglia, direttore”, risponde quello dei caffè.
Questo è razzismo.