Non muore più nessuno

Storie e Notizie N. 1643

Antonio Tajani, un nostro concittadino che ricopre attualmente il ruolo di presidente del Parlamento Europeo, si è di recente distinto, suscitando forti critiche anche a livello internazionale, con un classico refrain tipico della destra più nostalgica, ovvero che Mussolini ha fatto anche cose buone (i ponti, le strade, le bonifiche, ecc.).
Da cui la storia che segue...


C’era una volta un paese vecchio.
Ma che dico? Assai vecchio.
Anzi, di più, straordinariamente tale, al punto che vecchissimo non avrebbe reso l’idea, facendo meritare al suddetto aggettivo una seppur temporanea espulsione per palese inadeguatezza dal club dei superlativi assoluti.
Il paese eccezionalmente vecchio lo era sotto ogni punto di vista, ma codesta particolare natura era strettamente correlata a quella dei suoi abitanti.
Da ciò, avrei dovuto iniziare il racconto recitando: c’era una volta un paese vecchio abitato da gente vecchia. Tuttavia, la qualificante aggettivazione sarebbe risultata ridondante, e allora sono partito dal luogo per arrivare a coloro che lo abitano, tutto qui.
Mi riferisco a individui vecchi, così vecchi, ma talmente vecchi da non riuscire in alcun modo a separarsi dal passato, per quanto sgradevole solo a citarlo e vergognoso limitandosi al mero pensiero.
Le ragioni di cotanta affezione per i giorni andati, senza se e privi di ma, erano dovute a un’emozione altrettanto antica, resa praticamente eterna una volta trasformata in un sentimento duraturo, che come un cancro indistruttibile corrompeva inesorabilmente ogni atomo dell’anima e del corpo dei nostri.
Leggi pure come la tanto sottovalutata paura di morire.
A questo proposito, correndo il rischio di sembrare ulteriormente pignolo, avrei dovuto esordire scrivendo in tal guisa: c’era una volta un paese vecchio abitato da gente vecchia giacché aveva un’insanabile paura di morire, ma in questo modo avrei perso gran parte dei lettori solo nell’incipit, tra chi non vuol sentir proprio parlare di morte, e chi di paura. Figuriamoci nel caso in cui si trovino addirittura nella medesima frase…
Nondimeno, nel paese di cui sopra, il tempo passava indifferente come sempre agli umani vizi, di fronte ai quali solo l’umanità stessa può porre rimedio. E, come altrettanto sovente accade, il destino finì per realizzare il sogno di chi incessantemente nutriva i propri incubi. Perché da che mondo è mondo, non è trovarti dalla parte giusta della storia a consegnarti la vittoria, ma quanto ardentemente la desideri e per essa sei disposto a lottare.
Così, venne il giorno in cui nel paese più vecchio del mondo, abitato da persone decrepite, nonché spaventate dall’imminente esaurirsi del tempo a loro concesso, nessuno morì più.
All’inizio si diffusero ovunque incredulità e smarrimento, tipica reazione innanzi a un cambiamento di tenore a dir poco epocale.
Tuttavia, dopo il giusto tempo, ciascuno dei vecchi abitanti del paese vecchio cominciò a percepire nel proprio stesso essere la presenza di un vuoto di misure indefinite, perché mai domo nella sua costante crescita.
Come scoprire che l’orizzonte per il quale hai finito per sacrificare ogni frazione di secondo del tuo vivere sia stato unicamente frutto della tua immaginazione. Poiché ciò che era tutto ieri, oggi è nulla, e quel che era vero un attimo fa, adesso è la più grande menzogna che ti sei mai raccontato da solo.
Così, all’improvviso, allorché la storia iniziasse adesso, dovremmo partire con: c’era una volta un paese vecchio, infinitamente vecchio, ma stavolta l’avverbio in oggetto verrebbe celebrato come il fiore all’occhiello della sua grammaticale categoria. Perché mai la sua chiamata in causa fu maggiormente letterale.
Poi, in modo da mantenere alta l’attenzione degli spettatori appassionatisi fin qui all’intreccio, dovremmo muovere l’inquadratura sui protagonisti di quest’ultimo specificando che c’era sì una volta un paese infinitamente anziano, abitato da persone altrettanto vecchie, ma giunti a questo punto avremmo l’obbligo di rivelare la già introdotta inverosimile caratteristica, la sola che motiva l’invenzione di un racconto.
Altrimenti, di nazioni o città oltremodo vetuste, con abitanti particolarmente attempati e terrorizzati da tutto, ce ne sono svariate nel mondo reale. E magari voi altri vivete proprio in una di esse, chi può dirlo?
A ogni modo, bando alle ciance, ecco l’incipit aggiornato: c’era una volta un paese vecchio, abitato da gente che sarebbe stata vecchia per sempre, perché da un istante all’altro smise di morire. Di conseguenza, poco dopo, non ebbe più paura della morte.
Il bello nell’inaspettato risvolto di questa assurda trama è ciò che accadde nei giorni a seguire.
Fu meraviglioso, esserne testimoni.
Soprattutto trovandosi nei panni degli altri, coloro i quali vivevano nel paese vecchio, accanto agli abitanti per sempre vecchi, ma che vecchi non lo erano affatto.
Perché la scomparsa della paura della morte alimentata da un intero popolo fu paragonabile alla caduta di un colossale albero marcio e putrido, a dir poco maleodorante e velenoso, ai cui rami erano appesi frutti altrettanto guasti e non meno inquinanti.




Difatti, la madre di tutte le paure, da quando si era insediata nelle loro vite aveva generato un numero incalcolabile di altrettante paure, composte dalla medesima carne avariata.
La paura di quel che appare come diverso e di ciò che ha la presunta colpa, invece che l’indiscussa fortuna, di esser nato oltre i confini del tuo malessere.
La paura di tutto ciò che rappresenti il domani, che sia giovane piuttosto che nuovo, che suoni come rivoluzionario, piuttosto che alternativo.
La paura dell’istante in cui i generi e le identità maltrattate e violentate nel passato come se fosse il presente, e viceversa, si palesino addirittura più fiere e luminose che mai.
La paura, in breve, di tutto ciò che significhi quel che hai perduto e dimenticato.
Esistere ora, qui.
Perciò, semmai si avvererà, che sia benedetto il giorno in cui nessuno morirà più.
Perché vorrà dire che nel medesimo tempo coloro che chiamiamo gli altri saranno finalmente liberi.
Di vivere...


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