Il peso dei piccoli numeri
Storie e Notizie N. 1675
Una volta si chiamava legge dei grandi numeri.
Oggi, si chiama schiavitù delle esagerazioni.
È una conseguenza, in fondo. Una delle più scomode controindicazioni della sfrenata corsa all'approssimazione per eccesso delle nostre menzogne.
Perché in molti viviamo di bugie, oggigiorno. Spesso veniali, talvolta più gravi, ma tanto è il web, sono solo social, poi cancello, giusto? Anzi, meglio, ne scrivo un’altra! E via così.
Con l’illusione di stare davvero andando via.
Eppure, all’alba del nuovo anno mi piace ancora vederla come una storia.
La favola dei numeri piccoli, ovviamente.
Che difficilmente fanno notizia ed è comprensibile. Gli esempi sono molteplici: per far rumore bisogna essere in tanti, per essere davvero vincenti non basta un premio, ma molti, e per attrarre lo sguardo del lettore medio occorrono come minimo migliaia di pixel, altrimenti non crede neppure alla verità, è oramai acclarato.
Dammi la cifra più grande che puoi, è la domanda?
E la risposta arriva, senza fonti, priva di cuore e ritegno.
Come quando si inventano più di 180 piromani per negare i cambiamenti climatici.
O si millantano almeno 80 soldati morti per dimostrare che la guerra la si sta facendo almeno in due, e non un solo pianeta contro se stesso.
Niente di straordinario, è la norma da un po’ e forse ci siamo abituati anche a questo, credo.
Mi riferisco, a mero titolo di esempio, alle sparate sul numero di persone in piazza, al netto della foto ritoccata, piuttosto che delle consuete conferme dalla questura.
A quanto guadagna quello o lei, insomma loro, non importa chi, non conta perché, basta che possa seguirli digitalmente e sentirmi non dico uno di famiglia, neppure un amico e neanche un semplice conoscente. Mi accontento di tuffarmi ogni tanto nella luce che emana da quelle creature elette, come facevano gli antichi greci con le divinità dell’Olimpo.
Naturalmente, come non citare la quantità di followers e like.
Il numero di byte della memoria sul nuovo processore del nuovo cellulare che fa le stesse cose del vecchio, ma più rapidamente, vuoi mettere?
La velocità della nuova city car della nuova casa automobilistica, fusione delle solite vecchie due, che fa le stesse cose della tua prima auto, ma più rapidamente, vuoi scommettere?
E le cifre sugli ascolti in prima serata, anche se la tv tradizionale diviene ogni giorno che passa un elettrodomestico del secolo scorso.
Tuttavia, ci sono anche eclatanti grandezze che vengono consapevolmente ignorate.
È la teoria della relatività della coscienza, dove il solo sistema di riferimento che conti non supera il confine del proprio appartamento.
Quanti esseri umani sono morti annegati l’anno scorso cercando di toccare la riva più vicina alle loro illusioni, più che le loro speranze?
In quanti soffrono la fame e la sete tra una maratona solidale e l’altra?
Quante vite vengono strappate dal mondo come foglie dal vento in attentati non commerciabili e quante altre sono lì, adesso, sul ciglio del burrone, tra la fine e uno dei tanti, possibili prosiegui sulla strada della fragile sopravvivenza?
Ecco, lo dicevo all’inizio, è vero. Il rischio di assuefarsi al fare comune è alto, perché anche questo comporta il sovraccarico di connessione tra le nostre versioni virtuali.
Ciò nonostante, ogni tanto, possiamo ancora fare delle scelte nostre, indipendenti.
Oserei dire pure antiche, ma non voglio sembrare più anziano di quel che sono.
Per soffermarci sull’uno, invece che i tanti, o addirittura tutti.
Come un ragazzino che sale su un aereo ad Abidjan, in Costa D’Avorio, Africa.
Per accomodarsi, si fa per dire, sull’unico posto garantito a quelli come lui, piccoli e trascurabili numeri.
Nella sua ultima classe, più che prima, seconda o perfino terza: il carrello d’atterraggio.
Parte, il nostro, ma non arriverà mai a Parigi. Non lui, non quel che avrebbe potuto essere e niente di ciò che avrebbe scritto con la sua vita che non leggeremo più.
Chiudete gli occhi, ora, aprite al cielo i palmi delle mani e immaginate con me di avere in braccio quel ragazzo.
Se ne sentite il peso, tutto l’incalcolabile peso, malgrado il frastuono del vasto e copioso resto, be’, sarei propenso a credere che forse c’è ancora un po’ di speranza per l’umanità.
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Una volta si chiamava legge dei grandi numeri.
Oggi, si chiama schiavitù delle esagerazioni.
È una conseguenza, in fondo. Una delle più scomode controindicazioni della sfrenata corsa all'approssimazione per eccesso delle nostre menzogne.
Perché in molti viviamo di bugie, oggigiorno. Spesso veniali, talvolta più gravi, ma tanto è il web, sono solo social, poi cancello, giusto? Anzi, meglio, ne scrivo un’altra! E via così.
Con l’illusione di stare davvero andando via.
Eppure, all’alba del nuovo anno mi piace ancora vederla come una storia.
La favola dei numeri piccoli, ovviamente.
Che difficilmente fanno notizia ed è comprensibile. Gli esempi sono molteplici: per far rumore bisogna essere in tanti, per essere davvero vincenti non basta un premio, ma molti, e per attrarre lo sguardo del lettore medio occorrono come minimo migliaia di pixel, altrimenti non crede neppure alla verità, è oramai acclarato.
Dammi la cifra più grande che puoi, è la domanda?
E la risposta arriva, senza fonti, priva di cuore e ritegno.
Come quando si inventano più di 180 piromani per negare i cambiamenti climatici.
O si millantano almeno 80 soldati morti per dimostrare che la guerra la si sta facendo almeno in due, e non un solo pianeta contro se stesso.
Niente di straordinario, è la norma da un po’ e forse ci siamo abituati anche a questo, credo.
A quanto guadagna quello o lei, insomma loro, non importa chi, non conta perché, basta che possa seguirli digitalmente e sentirmi non dico uno di famiglia, neppure un amico e neanche un semplice conoscente. Mi accontento di tuffarmi ogni tanto nella luce che emana da quelle creature elette, come facevano gli antichi greci con le divinità dell’Olimpo.
Naturalmente, come non citare la quantità di followers e like.
Il numero di byte della memoria sul nuovo processore del nuovo cellulare che fa le stesse cose del vecchio, ma più rapidamente, vuoi mettere?
La velocità della nuova city car della nuova casa automobilistica, fusione delle solite vecchie due, che fa le stesse cose della tua prima auto, ma più rapidamente, vuoi scommettere?
E le cifre sugli ascolti in prima serata, anche se la tv tradizionale diviene ogni giorno che passa un elettrodomestico del secolo scorso.
Tuttavia, ci sono anche eclatanti grandezze che vengono consapevolmente ignorate.
È la teoria della relatività della coscienza, dove il solo sistema di riferimento che conti non supera il confine del proprio appartamento.
Quanti esseri umani sono morti annegati l’anno scorso cercando di toccare la riva più vicina alle loro illusioni, più che le loro speranze?
In quanti soffrono la fame e la sete tra una maratona solidale e l’altra?
Quante vite vengono strappate dal mondo come foglie dal vento in attentati non commerciabili e quante altre sono lì, adesso, sul ciglio del burrone, tra la fine e uno dei tanti, possibili prosiegui sulla strada della fragile sopravvivenza?
Ecco, lo dicevo all’inizio, è vero. Il rischio di assuefarsi al fare comune è alto, perché anche questo comporta il sovraccarico di connessione tra le nostre versioni virtuali.
Ciò nonostante, ogni tanto, possiamo ancora fare delle scelte nostre, indipendenti.
Oserei dire pure antiche, ma non voglio sembrare più anziano di quel che sono.
Per soffermarci sull’uno, invece che i tanti, o addirittura tutti.
Come un ragazzino che sale su un aereo ad Abidjan, in Costa D’Avorio, Africa.
Per accomodarsi, si fa per dire, sull’unico posto garantito a quelli come lui, piccoli e trascurabili numeri.
Nella sua ultima classe, più che prima, seconda o perfino terza: il carrello d’atterraggio.
Parte, il nostro, ma non arriverà mai a Parigi. Non lui, non quel che avrebbe potuto essere e niente di ciò che avrebbe scritto con la sua vita che non leggeremo più.
Chiudete gli occhi, ora, aprite al cielo i palmi delle mani e immaginate con me di avere in braccio quel ragazzo.
Se ne sentite il peso, tutto l’incalcolabile peso, malgrado il frastuono del vasto e copioso resto, be’, sarei propenso a credere che forse c’è ancora un po’ di speranza per l’umanità.
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